29 Maggio 2025
Alberto Stasi (foto LaPresse)
Con la riapertura delle indagini e nuovi accertamenti genetici, si affaccia l’ipotesi di un possibile errore giudiziario. Se Alberto Stasi fosse innocente, lo Stato potrebbe dover pagare fino a 6,5 milioni di euro. L’avvocato Giandomenico Caiazza avverte: “Caso riaperto perché il pm ha qualcosa di serio in mano”.
Il delitto di Garlasco, consumatosi il 13 agosto 2007 con l’uccisione della giovane Chiara Poggi, ha per la giustizia italiana un colpevole: Alberto Stasi, condannato in via definitiva a 16 anni di reclusione dalla Corte di Cassazione il 12 dicembre 2015. Un verdetto giunto dopo un iter giudiziario tra i più intricati della cronaca giudiziaria italiana recente, con 5 gradi di giudizio complessivi: assolto in primo grado nel 2009 e in appello nel 2011, Stasi fu poi condannato a 24 anni nel secondo appello del 2014. La pena fu successivamente ridotta grazie al rito abbreviato.
Dal gennaio 2015 è detenuto nel carcere di Bollate e, a maggio 2025, ha compiuto 10 anni esatti dietro le sbarre. Dall’11 aprile scorso, Stasi beneficia del regime di semilibertà, misura prevista dall’articolo 48 dell’Ordinamento Penitenziario. Ogni giorno può uscire per svolgere attività lavorative o formative e rientra in carcere in serata, secondo un programma stabilito dal magistrato di sorveglianza. Non cambia la condanna, ma segna una nuova fase della detenzione.
Tuttavia, il caso che sembrava archiviato ha conosciuto un’improvvisa riapertura. La Procura di Pavia ha avviato nuovi accertamenti genetici su tracce rinvenute sulla scena del crimine. Un solo nuovo indagato in questo nuovo filone: Andrea Sempio, amico della sorella della vittima. L’ipotesi di una revisione processuale, seppur remota, riapre uno spiraglio anche per Stasi, ma il suo legale, l’avvocato Antonio De Rensis, mantiene prudenza: "Vogliamo osservare questa indagine – ha detto – perché proprio il rispetto che abbiamo per chi sta indagando ci fa mettere l'ipotesi di un'eventuale revisione in secondo piano".
Sulla portata della riapertura si esprime con cautela anche l’avvocato Giandomenico Caiazza, già presidente dell’Unione delle Camere Penali: "Naturalmente nessuno di noi lo sa con certezza, ma mi pare difficile che un procuratore della Repubblica si svegli una mattina e decida di riaprire il caso Garlasco senza avere qualcosa in mano. Per far ripartire un’indagine su una sentenza definitiva servono elementi nuovi, concreti, anche se magari non ancora utilizzabili processualmente. Mi auguro che la Procura si sia mossa con basi solide".
Se l’indagine dovesse portare alla revisione e successiva assoluzione di Alberto Stasi, si configurerebbe un errore giudiziario tra i più clamorosi della storia italiana recente. In tal caso, lo Stato potrebbe essere chiamato a un risarcimento potenzialmente milionario. Il calcolo è impressionante:
"Una cifra teoricamente del tutto plausibile – commenta l’avvocato Caiazza – Il risarcimento per errore giudiziario non ha limiti: si valuta tutto, dalla durata della detenzione ai danni morali, psicologici, reputazionali. Stasi era un ragazzo di 24 anni quando fu condannato, oggi ne ha 41: ha passato in carcere quasi tutta la sua vita adulta. E anche se venisse assolto, l’ombra del sospetto di essere un assassino lo seguirà per sempre. Nessuno dovrebbe stupirsi se l’ammontare del risarcimento fosse di quell’ordine".
Sullo sfondo, resta la questione più delicata: il sistema giudiziario. "La cosa che non può funzionare e che fa saltare tutto, è essere arrivati alla condanna definitiva di Stasi dopo due precedenti assoluzioni. È qui che la giustizia è entrata in contraddizione con sé stessa – osserva Caiazza – Se non fosse mai stato individuato un colpevole, si potrebbe comprendere la volontà di riaprire le indagini per non lasciare impunito un delitto. Ma quando un imputato è già stato assolto due volte e poi condannato, e oggi si parla di riaprire il caso, vuol dire che una delle due verità giudiziarie – o forse tutte – è totalmente sbagliata. E allora non si può più parlare di fisiologia dell’errore, ma di un sistema che si smentisce da solo. È la giustizia che sconfessa sé stessa, e lo fa nel modo più grave, compromettendo la credibilità delle sue decisioni".
Il caso Stasi si inserisce in un quadro ben più ampio. Secondo errorigiudiziari.com, dal 1991 al 2024 si contano 31.949 casi di ingiuste detenzioni ed errori giudiziari, con un esborso vicino al miliardo di euro. La media annua è di oltre 29 milioni. Solo 222 sono stati i casi riconosciuti come errori giudiziari in sede di revisione, ma il loro impatto economico è significativo: oltre 86 milioni di euro, con un costo medio per caso di circa 385mila euro. Una cifra spesso superata nei casi più eclatanti.
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