12 Settembre 2025
Droni russi in Polonia
Il caso sui droni russi in Polonia (con lo scotch) continua a tenere banco. Tante le ipotesi che si sono fatte in questi giorni, anche se ce n'è una che è stata solamente sfiorata, ed è quella che riguarda il "false flag", tipicamente un'operazione sotto falsa bandiera che serve per crearsi dei vantaggi. Ed il protagonista di questa operazione potrebbe essere l'Occidente, che così facendo arriva sostanzialmente ai suoi scopi: aumentare la sua propaganda e alimentare un clima di guerra contro la Russia. Ci sono varie analogie rispetto al passato che richiamano al "false flag": le fake news pro-guerra di Bucha, i 40 bambini decapitati nel kibbutz di Kfar Aza e quelli tolti dalle incubatrici.
È possibile che dietro ai droni russi abbattuti in Polonia possa nascondersi l'ipotesi false flag. Un'ipotesi che non è nuova e che viene spesso utilizzata per fomentare guerre. Siamo infatti nel bel mezzo di una fase che vede l'Occidente soffiare sul fuoco di una possibile guerra contro la Russia, che Mosca non ha alcuna voglia di scatenare. E poi, la Polonia, non è una scelta casuale visto che è sempre stato il Paese sul quale si sono accesi i riflettori dopo l'Ucraina in merito ad un presunto attacco russo.
Varsavia sta lavorando allo "Scudo Est", un sistema di installazioni di "difesa" in costruzione nella Polonia orientale, vicino al confine con la Bielorussia e la regione di Kaliningrad. Una specie di fortificazione militare che sarà terminata nel 2028, e che dà l'idea di come il Vecchio Continente si stia adoperando contro il "nemico inesistente" russo. Per questo motivo, l'ipotesi "false flag" rientra appieno in questo scenario.
Scenario che non è nuovo considerando che nel passato, anche recente, sono state diverse le operazioni di "false flag". Basti pensare alle fake news pro guerra su Bucha, e alla "messinscena" del "finto massacro". Anche il giornalista francese Adrien Bocquet ha dichiarato che "i cadaveri sono stati scaricati dai camion e posizionati ad arte per incolpare la Russia".
Sempre all'inizio della guerra, c'è stato il caso di Marianna Podgurskaya, modella e beauty blogger pagata da Kiev per farsi fotografare all'ospedale pediatrico di Mariupol tra le macerie, con il pancione.
Come non ricordare poi la storia dei 40 bambini decapitati da Hamas nel kibbutz di Kfar Aza. Il Giornale d'Italia è andato direttamente sul posto per fare un reportage, dove persino un residente ebreo ha ammesso: "40 bambini decapitati? a Kfar Aza? Ne siete certi? Io sono qui da 37 anni e non né so nulla. Forse è successo a Be'eri (da Be'eri, tuttavia, nessuna notizia di decapitazioni di bambini, ndr)". Inoltre, i supporti sarebbero arrivati in ritardo: alcuni soldati dopo circa 6 ore dall'attacco, tra le 12 e le 13, l'IDF "al completo"".
C'è poi una storia più lontana, che tocca la Guerra del Golfo (1990-1991), quando l'esercito del'Iraq, ritenuto all’epoca uno dei più potenti e meglio armati del mondo invase e prese possesso del piccolo emirato del Kuwait, episodio che scatenò un conflitto, Iraq-resto del mondo, avviato con la benedizione dell’ONU.
Il clou si ebbe il 10 ottobre 1990, quando a Capitol Hill, durante una assemblea sui diritti umani venne data la parola ad una ragazzina kuwaitiana di 15 anni, tal Nayirah, che si presentò senza cognome per evitare guai alla propria famiglia rimasta in patria, e denunciò le atrocità commesse dall’esercito iracheno, in specie, tra lacrime e voce rotta dal pianto, di bambini tolti dalle incubatrici e lasciati morire di freddo e stenti sul pavimento.
Solo a guerra finita emerse che si trattò di una colossale montatura, la ragazza era la figlia dell’ambasciatore del Kuwait a Washington, istruita alla perfezione dalla Hill & Knowlton, una delle più grandi agenzie di pubbliche relazioni del mondo, assoldata dal governo kuwaitiano in esilio per promuovere la risposta militare contro l’Iraq.
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