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La Siria dopo Assad: tra realpolitik, basi straniere e intelligence, Damasco resta una scacchiera regionale

A un anno dalla caduta del regime, il nuovo potere cerca legittimità mentre Israele, Turchia, USA e Russia gestiscono funzioni e spazi: più equilibrio imposto che vera sovranità

26 Dicembre 2025

La Siria dopo Assad: tra realpolitik, basi straniere e intelligence, Damasco resta una scacchiera regionale

Al Jolani, fonte: Lapresse

Uno Stato caduto, uno spazio conteso

A un anno dalla fuga di Bashar al-Assad e dalla presa di Damasco da parte delle forze ribelli, la Siria non è rinata come Stato. Si è trasformata in una scacchiera geopolitica, dove il territorio vale più delle istituzioni. Il potere centrale esiste, ma in forma nominale: governa simboli, non confini; media equilibri, non li impone.

Il potere fragile di al-Sharaa

Il presidente di transizione Ahmed al-Sharaa, riconosciuto da una parte crescente della comunità internazionale, amministra un sistema parcellizzato. Non controlla interamente il nord-est curdo, non integra i drusi del sud, fatica a rassicurare la costa alawita. L’autorità di Damasco è intermittente, fondata su compromessi con milizie locali, reti di sicurezza e sponsor esterni.

Israele e la dottrina dell’instabilità

Nel sud della Siria, Israele applica una strategia chiara: prevenzione permanente e instabilità controllata. Le incursioni mirate, come quella nell’area di Beit Jinn, non sono incidenti ma segnali. Tel Aviv non cerca una Siria forte e coerente, bensì un vicino frammentato, incapace di produrre una minaccia strategica unitaria. Colpire senza negoziare è il vantaggio di un avversario senza Stato.

La Turchia e la stabilizzazione selettiva

A nord, la Turchia adotta un modello opposto. Attraverso il MIT, Ankara lavora a una stabilizzazione funzionale: disciplina milizie, seleziona élite locali, filtra risorse. L’intelligence diventa strumento di governance, trasformando attori armati in amministratori di sicurezza. L’obiettivo è contenere i curdi, ridurre l’influenza iraniana e costruire un controllo indiretto ma duraturo.

Due modelli, una stessa Siria

Il contrasto è netto: Israele disarticola, la Turchia ricompone. Tel Aviv opera dall’esterno, Ankara dall’interno. Entrambe, però, contribuiscono a una Siria non sovrana, dove il centro non decide ma subisce. La frammentazione non è un fallimento del sistema: è la sua funzione.

La Russia: presenza senza direzione

La Russia resta, ma ridimensionata. Le basi di Tartus e Khmeimim sono diventate presìdi di sopravvivenza strategica, non leve di comando. Mosca evita il confronto con Israele, accetta una gerarchia regionale sfavorevole e tutela i propri asset. È passata da garante del regime a gestore del declino, stabilizzando il caos senza ricostruire lo Stato.

Gli Stati Uniti, arbitro silenzioso

Sopra questo mosaico agiscono gli Stati Uniti con una strategia di arbitraggio passivo. Washington fissa linee rosse minime, lascia spazio agli alleati regionali e interviene solo per evitare escalation. Collabora con Damasco contro l’ISIS, riduce le sanzioni, sospende il Caesar Act. Non investe però in una piena sovranità siriana: preferisce un equilibrio controllabile.

Legittimità internazionale e realpolitik

L’incontro di al-Sharaa alla Casa Bianca, la revoca della taglia americana e i segnali positivi del FMI indicano una normalizzazione pragmatica. Arabia Saudita e governi occidentali vedono nel leader siriano l’unica opzione per evitare il collasso. È realpolitik: stabilità imperfetta contro caos certo.

La partita italiana

In questo contesto si inserisce l’azione dell’Italia, tra i primi Paesi occidentali a riaprire il dialogo. Le visite istituzionali, il sostegno umanitario e la cooperazione sanitaria segnano un approccio graduale: aiutare la ricostruzione funzionale senza illusioni sulla piena sovranità. Roma scommette su inclusione politica e ripresa economica come antidoti alla frammentazione.

Una spartizione senza confini

La minaccia maggiore per la Siria non è una divisione formale, ma una spartizione funzionale permanente. Ogni attore esterno controlla una funzione – sicurezza, basi, confini, intelligence – senza assumersi la responsabilità del tutto. Damasco resta il centro geografico di un potere esercitato altrove.

La Siria come tavola da gioco

La Siria del dopo Assad non è un Paese in ricostruzione, ma un campo di manovra. Finché il potere resterà distribuito per funzioni e non ricomposto in sovranità, Damasco non sarà un giocatore. Sarà la tavola su cui altri continuano a decidere la partita.

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