28 Settembre 2024
Eredità Agnelli sequestro frode fiscale e truffa
Era nascosto in un sottofondo, il tesoro segreto di Gianni Agnelli. Un sottofondo finanziario, basato in Lussemburgo, con un patrimonio schermato da due trust delle Bahamas e gestito da una fiduciaria del Liechtenstein. Ma dietro ci sarebbero stati sempre, e soltanto, gli eredi dell’Avvocato.
La scatola lussemburghese è stato l’ultimo approdo delle centinaia di milioni di euro sottratte al fisco italiano nel 2004 al momento della morte dello storico presidente della Fiat. Soldi passati prima alla vedova Marella Caracciolo e poi, nel febbraio del 2019, al nipote John Elkann e ai suoi fratelli Lapo e Ginevra.
Quello che Marella lascia ai nipoti è davvero un tesoro. Al momento del decesso, nel sottofondo - tecnicamente, il sub-fund Multiassets della sicav Private Wealth Management Global Sif creata dalla prestigiosa banca privata Pictet - le attività ammontano a 597 milioni di euro. Sono titoli ben investiti e che fruttano parecchio, dato che le quote del fondo, pari a 102,51 euro ciascuna al momento del conferimento nel 2014, si erano rivalutate a 137,38 euro alla data della morte della nonna degli Elkann (febbraio 2019) e schizzeranno a 164,99 euro, pari a 718 milioni totali, alla fine di quello stesso anno, quando i tre nipoti ricevono quote del fondo per 239 milioni ciascuno. Soldi che verranno dichiarati all’Agenzia delle Entrate solo alla fine del 2023, quando i controlli del Fisco nei loro confronti erano già iniziati.
Ma che investimenti c’erano in quel sub-fondo? Attraverso documenti ufficiali Milano Finanza ha ricostruito come e dove negli anni il tesoro segreto dell’Avvocato sia stato impiegato. Un asset spicca su tutti: quello delle miniere d’oro, in particolare di società canadesi o sudafricane. Poi ci sono bond bancari, anche di colossi russi del credito come Sberbank, azioni di grandi corporation americane ed europee, società quotate in vari mercati del mondo, prodotti strutturati e decine di quote in private equity e hedge funds. E, più di recente, in veicoli della stessa Exor, di cui John Elkann è ceo, come il suo mega-fondo d’investimento Lingotto, basato a Londra.
Dall’Asia agli Usa, dalla Cina al Sudamerica passando per l’Europa, la geografia degli investimenti spazia per il mondo ma disegna quasi un muro invalicabile attorno ai confini italiani. Non ci sono praticamente mai puntate sul nostro Paese. Solo due le eccezioni: appena 262 mila euro in azioni Banco Bpm nel 2017, una scommessa durata non più di un anno, e uno strapuntino da 7 milioni di euro in titoli EssilorLuxottica, che compare nel solo anno 2019.
La storia del veicolo Multiassets inizia dieci anni fa. Il sub-fund viene lanciato il 6 febbraio 2014: è alimentato con 184 milioni di euro da un trust delle Bahamas, The Providenza Settlement, uno dei due nei quali è stato fatto confluire il patrimonio estero dell’Avvocato.
Già il primo anno rende bene: +5,90% in dieci mesi. Gli investimenti sono suddivisi per il 36% in azioni, poi bond e titoli di Stato, hedge funds (14%), private equity (10%), quindi metalli preziosi: 5% in oro e 2% in argento nelle società Barrick Gold, Glodcorp, Iamgold, Kinrossgold, Randgold, Harmony Gold, Acacia Mining più vari Etf sul metallo giallo. Tra le partecipazioni azionarie più rilevanti nel 2014 compaiono le tedesche Metro (5,3 milioni di euro), Deutsche Post (2,7 mln), E.On (2,6 mln) ed Henkel (4 mln) e poi ancora Airbus (2,4 mln), Nestlè (2,4 mln), Comcast (2,4 milioni), Directv (2,5 mln), Google (2 mln), Liberty Global (3,1 mln), Royal Mail (2,5 mln), Hyundai (2,4), Samsung (3 mln).
I ticket maggiori però sono per due fondi di investimento: 18 milioni nel Conegliano Ventures e 33 milioni nel Bendel Fund. Conegliano è un venture capital americano guidato fra il 2014 e il 2018 dal managing director Noam Ohana, oggi a capo di Exor Seeds, fondo di startup della holding degli Agnelli-Elkann, nel quale Multiassets - lo vedremo - investirà pesantemente. Bendel Fund, basato in Liechtenstein, dovrebbe invece essere stato gestito direttamente da uno degli uomini di fiducia di John Elkann, il finanziere Christian Bolleter. Oggi risulta in liquidazione.
Anche nel 2015 il sub-fondo realizza un guadagno superiore al 5%. Gli affari continuano ad andare bene pure l’anno successivo (+7,16%) nonostante i rischi derivanti dalla Brexit. Per proteggersi i gestori del fondo riducono le partecipazioni in azioni - per esempio si esce dai titoli tedeschi - e puntano forte sui bond di società legate alle commodity come ArcelorMittal, Glencore, Trafigura e su bond subordinati delle banche europee Hsbc, Credit Agricole, Santander, Barclays, Deutsche Bank. Ma a farla da padrone sono sempre i fondi Conegliano (31,6 milioni) e Bendel Fund (54 milioni), che insieme raccolgono più o meno il 40% dell’intero capitale degli Agnelli.
Nel 2017 tuttavia il Bendel Fund viene svuotato. Le quote vengono quasi tutte riscattate e gli investimenti imputati direttamente al sub-fund. Negli elenchi delle partecipazioni di Multiassets compare così una società ormai famigerata a Wall Street: Theranos. Il suo valore? Zero.
Come centinaia di altri investitori, anche il fondo di Elkann è rimasto impigliato nel crack della startup biomedica fondata da Elisabeth Holmes che prometteva fino a 240 esami partendo da una sola goccia di sangue: una delle più grandi truffe della storia finanziaria recente. Quale sia stata la perdita per la famiglia Agnelli-Elkann non è dato sapere. In ogni caso il fondo chiude l’anno con un incremento di poco superiore al 2%.
Nel 2018 avviene il grande salto. Dentro il sub-fondo Multiassets arrivano 296 milioni di euro da un secondo trust delle Bahamas e il patrimonio raddoppia, superando il mezzo miliardo di euro (542 milioni). Il fondo punta ancora più forte sulle miniere di oro, argento e platino: i titoli del settore rappresentano metà dell’intera esposizione in azioni, pari al 24% del patrimonio. E incrementa ulteriormente gli attivi in private equity e hedge funds. Quell’anno compaiono per esempio 25 milioni apportati in Exor Seeds. C’è persino spazio per il business storico, l’auto: 600 mila euro in bond di Fca. Al 31 dicembre la performance è ancora una volta positiva: +4,67%.
Ma il 2018 è anche l’anno dell’operazione Stoneco ltd: un’ipo di successo, quella della fintech brasiliana al Nasdaq, alla quale parteciparono fra gli altri anche Berkshire Hathaway di Warren Buffett e Ant Financial, il braccio finanziario di Alibaba, anch’esso partecipato dal veicolo della famiglia Agnelli-Elkann attraverso il fondo Bpaf Limited.
Il 23 febbraio 2019 a Torino muore Marella Caracciolo, i tre nipoti Elkann ereditano tutti i beni ma Margherita Agnelli torna a rivendicare il suo status di erede, contestando il testamento della madre e le aggiunte del 2012 e del 2014 - secondo gli inquirenti orchestrate da John Elkann con l’assistenza di Ferrero e von Grünigen per “presidiare” la residenza svizzera della nonna - nonché la validità dei contratti svizzeri del 2004.
Quali contratti? Quelli relativi all’accordo transattivo e al patto successorio con i quali Margherita rinunciava all’eredità paterna e a quella futura della madre in cambio di immobili (Villa Frescot, Villar Perosa, la casa di Roma), di opere d’arte e di liquidità per 1,2 miliardi di euro, in una fase in cui la Fiat era sull’orlo del fallimento. Se lo si guarda però solo dal punto di vista degli investimenti il 2019 per il sub-fund è un anno boom. Il patrimonio schizza a 718 milioni di euro, +32%: da un lato coglie l’impennata dei valori dell’oro; dall’altro festeggia ancora il successo dell’ipo di Stoneco e l’incremento di valore delle sue azioni.
La crescita del fondo continua fino al 2021 quando raggiunge il picco: 875 milioni di euro, un aumento del 22% grazie al boom delle borse. Compaiono 1,6 milioni investiti in Bitcoin, altri 4 milioni nei casinò e nel gaming in Usa e soprattutto aumenta la quota nei private equity, in particolare in quello casalingo di Exor Feeds, cui vanno 83 milioni di dollari.
Nel 2022 invece il crollo dei mercati causato dalla guerra Russia-Ucraina punisce anche il sub-fund degli Agnelli-Elkann (-2,96% il risultato). I capitali si spostano sempre più sui veicoli di casa: 72 milioni solo nella neonata Lingotto. Una discesa continuata anche nel 2023, quando il patrimonio scende a 663 milioni. E oggi? Il tesoro segreto di Gianni Agnelli si trova ancora lì, secondo fonti a conoscenza della questione. Quei soldi non sono stati spostati.
Ma come sono arrivati i capitali segreti di Agnelli in quei paradisi fiscali? Come ricostruito dai magistrati, alla scomparsa dell’Avvocato circa 900 milioni di dollari vengono depositati in un conto presso Morgan Stanley intestato a Bundeena Consulting, società delle British Virgin Islands. I soldi restano lì almeno fino al 2009, secondo quanto emerso dalle carte dell’inchiesta di Torino che vede indagati i fratelli Elkann, il commercialista Gianluca Ferrero e il notaio svizzero Urs von Grünigen per l’ipotesi di frode fiscale e truffa ai danni dello Stato. A denunciare l’esistenza di un tesoro nascosto era stata proprio Margherita Agnelli, che aveva iniziato un’aspra contesa legale contro la madre e i suoi consulenti di allora per ottenere un rendiconto completo dei beni del padre.
Passano cinque anni. Margherita perde il primo round nei tribunali. Nel 2014, mentre lo scontro legale tra Marella e Margherita riprende lontano dai riflettori, nella gestione del tesoro estero di Gianni avviene silenziosamente un cambio. Sparisce Bundeena e compaiono i due trust delle Bahamas: The Providenza Settlement e The Providenza II Settlement, entrambi con sede a Nassau.
I due trust, formalmente creati da Marella Caracciolo e gestiti dalla Rhone Trustees, sempre delle Bahamas, sono gli unici sottoscrittori delle quote del sub-fondo, di cui è investment manager la Fidares Asset Management Trust di Eschen, in Liechtenstein. Quest’ultimo è un veicolo di cui era stato firmatario Sigfried Maron, storico consulente finanziario estero di Gianni Agnelli. Tra gli amministratori del sub-fund compare invece Christian Bolleter, come abbiamo visto uomo di fiducia di John Elkann. Sono tutti elementi che secondo gli investigatori della Guardia di Finanza di Torino e i pm Marco Gianoglio e Mario Bendoni convergono in una direzione: il sub-fund sarebbe stato nei fatti guidato da John Elkann, anche nella scelta degli investimenti da effettuare.
Ad avvalorare l’ipotesi dei pm ci sono anche diversi documenti citati nell’ordinanza del gip di Torino Antonio Borretta che il 13 settembre ha disposto il sequestro preventivo di 74,8 milioni di euro in quanto profitto dei presunti reati. Tra questi, alcune mail indirizzate a John Elkann relative a uno dei più importanti investimenti del sub-fund: la quotazione di Stoneco ltd, avvenuta a fine 2018. Solo che teoricamente Elkann non avrebbe dovuto sapere niente di quello che faceva il fondo, essendo per di più soltanto il beneficiario secondario del trust (dato che era ancora in vita la nonna). Una conferma ulteriore, secondo gli inquirenti, che si trattava solo di schermi giuridici costruiti per escludere quei capitali dalla successione e dal pagamento delle imposte in Italia.
Secondo i pm tutto rientrava in una strategia che andava avanti da anni: “presidiare” - questo il termine usato dagli stessi consulenti legali di Elkann nella corrispondenza con il loro cliente - la residenza svizzera di Marella, che in realtà almeno dal 2010 avrebbe vissuto gran parte del tempo in Italia. Per due motivi: sottrarre la vedova Caracciolo alla successione secondo la legge italiana in modo da escludere la figlia Margherita dall’asse ereditario; dall’altro, non versare al fisco i redditi prodotti dal tesoro estero, non essendo formalmente riconducibili i trust a Marella. E quindi, dopo la successione, neanche ai tre Elkann.
Secondo la procura, invece, sulle quote del sub-fondo i tre Elkann avrebbero dovuto pagare nel 2019 imposte sui redditi di capitale pari a 30,3 milioni, mentre come imposte di successione avrebbero dovuto versare altri 24,6 milioni, più un altro 4% su opere d’arte, quadri, gioielli e altri beni preziosi ottenuti in eredità - sebbene spacciati per “regali” della nonna nel corso della vita - stimati in oltre 170 milioni di euro. In totale 74,8 milioni di euro di tasse non pagate. Quei soldi ora sono stati posti sotto sequestro, in attesa che si chiudano le indagini.
I legali di Elkann hanno ribadito che “la volontà di risiedere in Svizzera” di donna Marella “non è mai venuta meno nel corso di tutta la sua vita” e che “restiamo convinti di poter dimostrare l’estraneità dei nostri assistiti ai fatti addebitati”. Ma quale potrà essere la strategia processuale di John Elkann, difendersi in dibattimento o transare con il Fisco pagando quello che deve e poi patteggiare?
La riforma fiscale entrata in vigore lo scorso giugno lo permetterebbe. Il presidente di Stellantis eviterebbe così il danno reputazionale derivante dall’essere alla sbarra in un processo per frode fiscale. Resterebbe comunque da affrontare lo scoglio più grande: le cause civili in Svizzera e soprattutto quella a Torino, centrata sull’effettiva residenza italiana di Marella Caracciolo, che i pm ritengono di avere provato. Un assist enorme a favore di Margherita che vorrà giocarselo al meglio, puntando a far valere in sede civile le risultanze delle indagini penali.
Dall’esito delle cause può dipendere il futuro degli assetti della Dicembre, la società semplice attraverso cui con il 60% John Elkann controlla la Giovanni Agnelli bv e, a cascata, Exor e da lì le sue partecipazioni da oltre 35 miliardi di euro, da Stellantis a Philips, a Ferrari, a Lingotto, fino all’Economist, a Gedi, alla Juventus. I legali degli Elkann hanno sempre ribadito che in nessun modo potrà essere messo in discussione il controllo della Dicembre.
Un’ipotesi di accordo in famiglia per ora appare molto lontana. Ma se le carte dell’inchiesta riveleranno altri retroscena, non è detto che le posizioni tra madre e figli non possano cambiare. I pm potrebbero chiudere entro poche settimane l’indagine. E nel frattempo ripartirà il procedimento civile. Le udienze riprenderanno a dicembre. E tra gli interrogatori da tenere c’è anche quello di John Elkann.
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