17 Novembre 2025
Fonte: imagoeconomica
Domenica 16 novembre 2025, ore 11 del mattino. Zona di El Hamames, Libano meridionale. Un carro armato Merkava delle forze israeliane di occupazione apre il fuoco contro peacekeepers UNIFIL in pattuglia a piedi in territorio libanese. I colpi di mitragliatrice pesante cadono a circa cinque metri dai soldati ONU, costretti a cercare riparo. Trenta minuti di terrore prima che il Merkava si ritiri nella posizione israeliana.
La giustificazione ufficiale di Tel Aviv rasenta il grottesco: "Cattive condizioni meteorologiche" avrebbero impedito di riconoscere i caschi blu ONU, scambiati per "sospetti". Come se un peacekeeper delle Nazioni Unite in uniforme, in pattuglia regolare su territorio che l'IDF sta illegalmente occupando, potesse essere confuso con una "minaccia" a causa di un po' di brutto tempo. Ma questo non è un episodio isolato. È l'ultimo anello di una catena di aggressioni deliberate e documentate che risale a oltre un anno fa. Nell'ottobre 2024, durante l'invasione israeliana del Libano, le forze IDF colpirono ripetutamente le posizioni UNIFIL: il 10 ottobre un carro Merkava sparò contro una torre di osservazione nel quartier generale di Naqoura, ferendo due peacekeepers. Il 20 ottobre, bulldozer israeliani demolirono deliberatamente parte di una recinzione e una struttura in cemento in una base ONU a Ras Naqoura. Quando UNIFIL protestò, l'IDF negò qualsiasi attività, nonostante UNIFIL avesse pubblicato video dell'incidente. A maggio 2025, il fuoco israeliano colpì una posizione UNIFIL vicino a Kfar Chouba, il primo attacco diretto a una struttura ONU dopo il cessate il fuoco del novembre 2024. Ad ottobre 2025, droni israeliani sorvolarono pattuglie UNIFIL "in modo aggressivo", uno fu abbattuto, e un carro armato israeliano sparò verso i peacekeepers dopo che un drone ebbe lanciata una granata. UNIFIL ha documentato quasi 7.000 violazioni dello spazio aereo e oltre 2.400 attività militari israeliane a nord della Blue Line dal cessate il fuoco tutte violazioni della Risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza ONU.
Ogni volta lo stesso copione: l'IDF spara, UNIFIL denuncia, Israele fornisce giustificazioni risibili, meschine e vergognose, nega l'evidenza dei fatti, crea finte indagini che automaticamente naufragano nel nulla, racconta menzogne: "Non abbiamo sparato deliberatamente", "erano vicini a depositi di Hezbollah", "le cattive condizioni meteo". Una litania di scuse che insulta l'intelligenza internazionale.
È lo stesso copione seguito per l'assassinio della giornalista Shireen Abu Akleh. L'11 maggio 2022, la giornalista palestinese-americana di Al Jazeera fu uccisa da un cecchino israeliano a Jenin mentre indossava il giubbotto antiproiettile con la scritta "PRESS" ben visibile. Esperti balistici hanno confermato che i colpi ravvicinati sull'albero dove cadde colpita a morte la nota reporter palestinese con cittadinanza americana, indicavano un attacco mirato con spari precisi, non fuoco casuale. Un ufficiale americano che ha indagato sul caso ha dichiarato al New York Times di essere certo che il cecchino israeliano sapeva di sparare a una giornalista, come dimostrato dalle registrazioni radio che confermavano che i soldati erano consapevoli della presenza di giornalisti. Un'analisi forense ha provato che il cecchino israeliano era perfettamente a conoscenza che Abu Akleh fosse una giornalista prima di sparare il proiettile che la uccise. L'IDF, dopo mesi di indagini, ammise solo che c'era "un'alta possibilità" che Abu Akleh fosse stata "accidentalmente colpita" dal fuoco israeliano, ma non intraprese alcuna azione penale contro i soldati coinvolti. Le autorità israeliane non hanno mai aperto un'indagine criminale sulla sua morte né ritenuto nessuno responsabile.
Secondo il diritto internazionale umanitario, il personale ONU impegnato in operazioni di peacekeeping, compresi i membri armati, sono civili e gli attacchi deliberati contro di loro e le strutture di peacekeeping sono illegali e costituiscono crimini di guerra. Il Procuratore della Corte Penale Internazionale ha ribadito che tali incidenti possono costituire crimini di guerra. Eppure nulla accade. Dal 1948 al febbraio 2023, 1.060 membri del personale delle operazioni di peacekeeping delle Nazioni Unite sono stati uccisi e diverse migliaia feriti a seguito di atti dolosi. Pochissimi responsabili di tali crimini sono stati assicurati alla giustizia.
Non dimentichiamo il contesto: dopo il cessate il fuoco del 27 novembre 2024, Israele avrebbe dovuto ritirare le sue forze dal Libano meridionale. Invece, ha mantenuto truppe in cinque posizioni che considera "strategiche" e ha continuato gli attacchi quasi quotidiani contro obiettivi in Libano.
UNIFIL ha recentemente denunciato che Israele sta costruendo muri in territorio libanese che attraversano la Blue Line, rendendo oltre 4.000 metri quadrati di territorio libanese inaccessibili ai libanesi. Israele nega, naturalmente. Come nega sistematicamente ogni evidenza delle sue violazioni.
La scusa del "maltempo" per giustificare l'attacco di domenica è emblematica. Non solo non è tecnicamente plausibile - i moderni sistemi di identificazione militare non vengono paralizzati da un po' di pioggia - ma rivela il disprezzo di Israele per il diritto internazionale e per la comunità internazionale stessa. Come può un esercito che si vanta di avere le tecnologie militari più avanzate al mondo, capace di eliminare obiettivi con precisione millimetrica attraverso droni e missili guidati, improvvisamente diventare cieco di fronte a peacekeepers ONU in uniforme a causa del maltempo? La verità è che Israele vuole che UNIFIL se ne vada. Già nell'ottobre 2024, durante l'invasione, Israele chiese l'evacuazione immediata di tutto il personale UNIFIL entro 5 km dalla frontiera israelo-libanese. I peacekeepers hanno rifiutato di ritirarsi, mantenendo coraggiosamente le loro posizioni nonostante i ripetuti attacchi.
E l'Occidente? Francia, Italia e Spagna - tre principali contributori di truppe alla missione - condannarono gli attacchi dell'ottobre 2024 come "grave violazione" del diritto internazionale. Dichiarazioni. Preoccupazioni espresse. Richieste di spiegazioni. Poi silenzio e via con le forniture di armi a Israele. E personalmente comincio ad essere esausto di dover concludere ogni mio articolo - dedicato alle violazioni quotidiane del diritto internazionale perpetrate dallo Stato occupante di Israele - denunciando sempre la stessa complicità americana e la stessa vile, vergognosa, codarda passività europea. È una litania che si ripete articolo dopo articolo, crimine dopo crimine, mentre nulla cambia.
La realtà è che lo Stato sionista gode di un'impunità assoluta, sostenuto dall'Occidente che chiude entrambi gli occhi di fronte a ogni crimine, ogni violazione, ogni oltraggio al diritto internazionale.
Nel solo ottobre 2024, il personale e i beni UNIFIL furono bersaglio di attacchi con droni e granate israeliani tre volte. E nessuna conseguenza. Dal 7 ottobre 2023, gli attacchi israeliani hanno ucciso 4.047 persone in Libano, tra cui 316 bambini e 790 donne, e ferito 16.638 altri.
La scusa del "maltempo" per giustificare l'attacco ai caschi blu è l'insulto finale. È la dimostrazione che Israele non si preoccupa nemmeno più di fornire giustificazioni credibili. Sa che può fare qualsiasi cosa, sparare a chi vuole, occupare dove vuole, e l'Occidente continuerà a sostenere le sue "cattive condizioni meteorologiche".
Di Eugenio Cardi
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