Domenica, 16 Novembre 2025

Seguici su

"La libertà innanzi tutto e sopra tutto"
Benedetto Croce «Il Giornale d'Italia» (10 agosto 1943)

Gaza, duello diplomatico all'Onu: Mosca sfida il piano Trump con una controproposta che boccia il "Board of Peace" e rilancia la soluzione a 2 Stati

Domani, lunedì 17 novembre, il Consiglio di Sicurezza dell'Onu si pronuncerà sul piano proposto da Trump di un "comitato per la pace" e una "forza internazionale di stabilizzazione". Ma a rompere gli schemi è arrivata la proposta di Mosca, più tradizionale e multilaterale, che riafferma i principi consolidati del diritto internazionale come la soluzione dei due Stati, e il ruolo centrale delle Nazioni Unite

16 Novembre 2025

Gaza, duello diplomatico all'Onu: Mosca sfida il piano Trump con una controproposta che boccia il "Board of Peace" e rilancia la soluzione a 2 Stati

Consiglio di Sicurezza Onu, fonte: Twitter @tizianaferraio

Mentre il fragile cessate il fuoco a Gaza entra nel secondo mese, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è diventato il nuovo teatro di uno scontro diplomatico tra Stati Uniti e Russia sulla riorganizzazione post-bellica dell'enclave palestinese.

Il nodo del Board of Peace

Il 13 novembre, Mosca ha presentato una bozza di risoluzione alternativa a quella americana, innescando quello che fonti diplomatiche definiscono "il più significativo disaccordo al Consiglio dall'inizio della guerra".

Al centro della disputa c'è il controverso "Board of Peace" (Consiglio della Pace), l'organismo di governo transitorio previsto dal piano in 20 punti presentato dal Presidente Donald Trump lo scorso 29 settembre. La proposta statunitense, circolata formalmente al Consiglio di Sicurezza il 7 novembre, prevede che questo organismo – presieduto direttamente da Trump e comprendente figure molto controverse come l'ex premier britannico Tony Blair – gestisca Gaza fino al 2027, supportato da una Forza Internazionale di Stabilizzazione (ISF) di circa 20.000 militari. La controproposta russa elimina ogni riferimento al Board of Peace e chiede invece al Segretario Generale dell'ONU di identificare opzioni per una forza di stabilizzazione, restituendo al Consiglio di Sicurezza un ruolo centrale nel processo. "L'obiettivo della nostra bozza è consentire al Consiglio di Sicurezza di sviluppare un approccio equilibrato, accettabile e unificato verso il raggiungimento di una cessazione sostenibile delle ostilità", ha dichiarato la missione russa in una nota ai membri del Consiglio.

La visione alternativa di Mosca

Il testo russo richiama la Carta delle Nazioni Unite e tutte le risoluzioni rilevanti sulla questione palestinese, sottolineando l'impegno verso la soluzione dei due Stati e la necessità di mantenere "l'unità e la continuità territoriale della Striscia di Gaza e della Cisgiordania sotto l'Autorità Palestinese". Un linguaggio che contrasta nettamente con la versione americana, che relega la questione dello Stato palestinese a una vaga possibilità futura, condizionata a riforme dell'Autorità Palestinese e alla ricostruzione di Gaza.

Particolarmente significativo è il passaggio in cui il testo russo dichiara che "il Consiglio di Sicurezza respinge ogni tentativo di cambiamento demografico o territoriale nella Striscia di Gaza, incluse azioni che riducano il territorio della Striscia", una formulazione che suona come un chiaro riferimento alle dichiarazioni di alcuni esponenti della destra israeliana favorevoli a un ridimensionamento di Gaza.

Le obiezioni di Pechino e dei Paesi Arabi

La Russia non è sola nella sua opposizione. Cina e Algeria – con Pechino e Mosca che detengono il potere di veto – hanno chiesto esplicitamente la rimozione completa del Board of Peace dalla risoluzione americana. Quattro diplomatici ONU, confidandosi sotto anonimato, hanno confermato che Russia, Cina e Algeria si sono opposti alla prima bozza statunitense, e che quasi tutti gli altri membri del Consiglio hanno presentato emendamenti.

I punti critici riguardano principalmente tre aspetti:

  1. il percorso verso uno Stato palestinese indipendente
  2. la tempistica del ritiro delle forze israeliane da Gaza
  3. l'assenza di qualsiasi ruolo transitorio per l'Autorità Palestinese.

Gli Emirati Arabi Uniti, importante alleato americano nei negoziati di pace, hanno dichiarato pubblicamente che non vedono ancora un quadro chiaro per la proposta "forza di stabilizzazione" e, nelle circostanze attuali, non vi parteciperanno.

Le revisioni americane sotto pressione

Di fronte alle obiezioni, Washington ha dovuto rivedere il testo. La versione circolata il 13 novembre include ora un riferimento esplicito alla possibilità di uno Stato palestinese, anche se formulato in termini vaghi: "una volta che le riforme dell'Autorità Palestinese saranno fedelmente attuate e la ricostruzione di Gaza sarà avanzata, potrebbero finalmente esserci le condizioni per un percorso credibile verso l'autodeterminazione e la statualità palestinese".

Un linguaggio che evidentemente non soddisfa Mosca. La missione russa all'ONU ha infatti dichiarato che il rivisto testo USA della dichiarazione resta comunque lontano dal riconoscimento del principio di una "soluzione a due Stati per la risoluzione israelo-palestinese”.

La Forza di Stabilizzazione nel limbo

La questione della Forza Internazionale di Stabilizzazione (ISF) rimane uno dei nodi più intricati. Il piano di Trump prevede che la forza autorizzi gli Stati membri a utilizzare "tutte le misure necessarie" per demilitarizzare Gaza, proteggere i civili e le consegne di aiuti, assicurare i confini e supportare una nuova forza di polizia palestinese addestrata. Tuttavia, la composizione di questa forza è ancora oggetto di aspro dibattito. Washington ha avviato discussioni con Indonesia, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Qatar, Turchia e Azerbaigian, ma le riserve rimangono numerose. Israele ha escluso categoricamente la partecipazione turca. L'Azerbaigian ha dichiarato che non invierà peacekeepers a Gaza a meno che non vi sia una completa cessazione dei combattimenti. E gli stessi Emirati si sono tirati indietro, citando l'assenza di un quadro giuridico chiaro e il timore di legittimare l'occupazione israeliana. Fonti diplomatiche hanno riferito a The National che l'Egitto vorrebbe guidare una forza di circa 4.000 uomini comprendente anche Turchia, Indonesia e Azerbaigian, ma insiste affinché il comando sia affidato agli Stati Uniti e che la Turchia sia inclusa, due condizioni che complicano ulteriormente il quadro.

Il contesto geopolitico: il cessate il fuoco instabile

Questa battaglia diplomatica si svolge mentre sul terreno il cessate il fuoco concordato l'8 ottobre scorso mostra segni crescenti di tensione. La prima fase dell'accordo ha facilitato lo scambio di ostaggi israeliani detenuti nell'enclave – vivi e deceduti – con prigionieri palestinesi, oltre al parziale ritiro delle truppe israeliane e all'ingresso di aiuti umanitari. Tuttavia, così come solitamente usa fare da circa 80 anni con l’esplicito benestare di USA e UE, lo Stato occupante di Israele ha ripetutamente violato l'accordo con attacchi quasi quotidiani che hanno ucciso centinaia di palestinesi.

La pressione americana e le prossime mosse

Gli Stati Uniti hanno intensificato la pressione per l'approvazione della loro risoluzione. Il 14 novembre, Washington ha emesso una dichiarazione congiunta con Qatar, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Indonesia, Pakistan, Giordania e Turchia – di cui solo il Pakistan fa parte del Consiglio di Sicurezza – esortando "l'adozione rapida" dell'ultima bozza americana.

Il Segretario di Stato Marco Rubio ha dichiarato che il piano di cessate il fuoco di Trump "è il miglior percorso verso la pace in Medio Oriente" e che la risoluzione consentirà all'iniziativa di andare avanti. La missione americana alle Nazioni Unite ha avvertito che "i tentativi di seminare discordia" avranno "conseguenze gravi, tangibili e del tutto evitabili per i palestinesi a Gaza". In buona sostanza, come al solito, o si fa come vuole e desidera il “sovrano” americano o altrimenti son guai per tutti, a partire dal popolo palestinese naturalmente, che nessuno ha pensato bene di consultare sui propri progetti per il futuro.

Il voto imminente

Secondo fonti diplomatiche, sia la bozza americana che quella russa dovrebbero essere messe ai voti all'inizio della prossima settimana, molto probabilmente già lunedì 17 novembre. Il piano americano potrebbe ottenere i nove voti necessari per l'approvazione, con Russia e Cina che probabilmente si asterranno invece di usare il veto. Tuttavia, questa previsione rimane incerta, dato il livello di opposizione emerso durante le consultazioni.

Washington ha essenzialmente tre opzioni:

  1. accettare emendamenti significativi
  2. mettere ai voti la bozza attuale rischiando un veto russo-cinese
  3. formare una "coalizione dei volenterosi" al di fuori dell'ONU per procedere con la stabilizzazione di Gaza, soluzione che priverebbe l'operazione della legittimità internazionale che molti Paesi considerano essenziale.

In conclusione, quel che chiaramente emerge da questo confronto diplomatico è l'assenza di un consenso internazionale sulla governance futura di Gaza. Il piano Trump, per quanto abbia ottenuto un cessate il fuoco iniziale, appare sempre più come un'imposizione unilaterale che non tiene conto delle posizioni di attori chiave, dalle potenze del Consiglio di Sicurezza ai Paesi arabi che dovrebbero fornire le truppe.

La proposta russa, dal canto suo, rivendica un approccio più tradizionale e multilaterale, riaffermando principi consolidati del diritto internazionale come la soluzione dei due Stati e il ruolo centrale delle Nazioni Unite. Ma resta da vedere se Mosca e Pechino useranno il loro potere di veto o si accontenteranno di un'astensione che consenta comunque il passaggio della risoluzione americana.

Nei prossimi giorni, il Consiglio di Sicurezza dovrà quindi decidere se dare il proprio imprimatur al piano Trump o tentare di forgiare un compromesso che incorpori elementi delle due visioni. In ogni caso, la riorganizzazione di Gaza – con i suoi due milioni di abitanti ammassati in campi tendati tra le macerie – rimane una questione urgente che non può attendere i tempi della diplomazia multilaterale. Ma altrettanto vero è che qualsiasi soluzione imposta unilateralmente rischia di seminare i germi del prossimo conflitto.

Il Giornale d'Italia è anche su Whatsapp. Clicca qui per iscriversi al canale e rimanere sempre aggiornati.

Commenti Scrivi e lascia un commento

Condividi le tue opinioni su Il Giornale d'Italia

Caratteri rimanenti: 400

Articoli Recenti

x