31 Dicembre 2025
La youtuber Paola Ceccantoni, in arte Pubble, ha deciso di congedarsi dal 2025 con un video monologo di quasi 9 minuti. Un bilancio amarissimo dell'anno che si sta per concludere, che ha definito "di mer*a", all'interno di un'"epoca schizofrenica". 365 giorni in cui le guerre l'hanno fatto da padrona: da quella ritenuta "necessaria" fra la Nato e la Russia, a quella mai realmente cessata a Gaza.
Un monologo di oltre otto minuti, denso di rabbia e immagini crude, ha trasformato la chiusura simbolica del 2025 in un atto d’accusa politico e morale. La youtuber Pubble affida a un video diventato virale un bilancio durissimo dell’anno che sta finendo, rivolgendosi al 2025 come a un interlocutore diretto: “Vivere con te non è stato facile, 2025. Non sei stato facile”.
Nel suo racconto, Pubble mette in fila i simboli di un’epoca che definisce schizofrenica: “Mimetica nell’armadio e Bibbia sul comodino”, un’accoppiata che, dice, pretende di conciliare “missili e crocifissi”. Il bersaglio principale è la narrazione dominante della guerra come strumento di pace. “Civis pace in parabellum”, ripete più volte, citando ironicamente il motto attribuito ai romani, usato dalla premier Giorgia Meloni e da diversi leader europei, per poi smontarlo: “La pace che non viene regalata, ma si forgia con la forza e con le armi”.
Secondo la youtuber, il 2025 è stato l’anno in cui la guerra è stata resa “figa”, spettacolarizzata come un videogioco: trailer, pubblicità delle industrie belliche, “i kit di sopravvivenza per 72 ore”, fino al “carri armatino per il calendario dell’avvento”. A questa estetica oppone le immagini viste online: “I carri armati veri passare sopra gente disarmata e seppellirli nella sabbia”.
Una parte centrale del video è dedicata a Gaza. Pubble denuncia la negazione della sofferenza civile e l’uso di un linguaggio disumanizzante: “Quei bambini sono i figli di quei terroristi”, “Non è sangue, è ketchup”, “A Gaza non c’è la fame, ci sono i bar”. Frasi che, secondo lei, raccontano “l’anno del diritto internazionale che vale fino a un certo punto”.
Non mancano le accuse alla politica occidentale e ai media, definiti “la stampa più corrotta di sempre”, né quelle all’economia di guerra che ricade sui cittadini: bollette, pane a cinque euro, salari fermi. “Dopo le infinite promesse di pace, adesso la guerra la dobbiamo pagare noi”.
Il finale è una dichiarazione di resistenza civile. Se opporsi alla guerra significa essere etichettati come nemici, conclude Pubble, “allora saremo felici di essere il loro terrore”: non con le armi, ma “con le mani che cercano il pane”.
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