24 Ottobre 2025
Itamar Ben-Gvir, fonte profilo Facebook ufficiale Itamar Ben-Gvir
Israele ha attuato formalmente la pena di morte solo contro il nazista Adolph Eichmann, nel 1962. In realtà, la pena di morte resta legale, anche se praticamente mai applicata. Tra il 1922 e il 1948, prima che Israele nascesse, il Mandato britannico in Palestina applicava la pena di morte sia agli arabi palestinesi sia agli ebrei, tramite i tribunali militari previsti dai Regolamenti di emergenza. Negli anni ‘30 e ‘40, durante la rivolta araba e le attività clandestine ebraiche di Etzel e di Lehi, furono comminate condanne. I fondatori di Israele associarono così la pena di morte al Mandato oppressivo britannico. Durante la guerra d’indipendenza del 1948, l’esercito israeliano giustiziò sommariamente il capitano dell’Haganah Meir Tobianski. La sua assoluzione postuma fu un monito sui rischi inerenti a questo tipo di pena.
Nel 1954, una delle prime riforme legali israeliane abolì la pena di morte per omicidio. Mantenuta per reati di tradimento, fu sostituita dall’ergastolo obbligatorio. Israele conservò anche i Regolamenti britannici, che consentivano la pena di morte per reati di sicurezza nazionale. Nel 1950 aveva promulgato la legge sul perseguimento dei criminali nazisti, che prevedeva la pena capitale. Nel 1967 Israele occupò la Striscia di Gaza e la Cisgiordania: le leggi militari inclusero la pena di morte, mai applicata per reati contro la sicurezza. Malgrado ciò, i tribunali militari israeliani potevano emettere condanne a morte, basandosi sulle norme di emergenza britanniche. In alcune occasioni lo fecero. Nel 1965 il palestinese Mahmoud Hejazi fu condannato a morte per essere entrato in Giordania a eseguire un attacco armato; nel 1983 Kareem e Maher Younes, palestinesi cittadini israeliani, furono condannati per l’omicidio di un soldato israeliano; nel 1994 un tribunale militare cisgiordano emise lo stesso verdetto contro Sai’d Badarneh, organizzatore di un attacco suicida. I tribunali israeliani e le autorità di sicurezza si scontrarono su tali verdetti, sempre commutati o annullati in appello.
Da un decennio, il tema ha infiammato la politica israeliana. Era il 15 luglio 2015 quando la Knesset disse no a un disegno di legge che poteva scuotere il sistema giudiziario israeliano. Proposto dal partito della destra sionista laica Yisrael Beytenu, guidato da Avigdor Liberman, il provvedimento avrebbe reso più facile per tribunali militari e civili condannare a morte i terroristi: una semplice maggioranza di giudici, al posto dell’unanimità, sarebbe stata sufficiente per infliggere la pena capitale. Netta la votazione in prima lettura: 94 contrari e soli 6 sì. Tutti i sì provenivano dai deputati di Yisrael Beytenu. Il Primo Ministro Benjamin Netanyahu, già il 12 luglio, ordinò ai deputati del Likud di opporsi al provvedimento. Secondo The Times of Israel e Forward, tra i ranghi del Likud la proposta trovava sostenitori di peso: il ministro della Cultura Miri Regev, il ministro della Scienza Danny Danon e il ministro senza portafoglio Ofir Akunis. Secondo Sharon Gal, deputato di Yisrael Beytenu e promotore del disegno di legge, la minaccia della morte avrebbe potuto rafforzare la deterrenza di Israele e proteggere la vita dei suoi cittadini. La prudenza ebbe la meglio. Oltre agli ovvi dilemmi etici, la condanna a morte rischia di trasformare i terroristi in martiri. Senza contare le critiche che si potrebbero ricevere nei forum internazionali.
Il 3 gennaio 2018 si replica: la Knesset approvava in prima lettura un disegno di legge con 52 voti favorevoli e 49 contrari. Il Primo Ministro Netanyahu e il Ministro della Difesa Liberman appoggiarono la proposta. Il primo affermò che, in casi estremi, i responsabili meritassero la pena capitale. Il provvedimento non giunse mai all’approvazione finale. Il 20 novembre 2018 Nissan Slomiansky, presidente della Commissione Giustizia della Knesset, annunciò che le votazioni sarebbero state posticipate a tempo indeterminato per le divisioni nella coalizione. Poi Ben Gvir entra in scena come protagonista. Il 1° giugno 2022, insieme a May Golan del Likud, presenta un emendamento al codice penale per introdurre la pena di morte: il provvedimento viene però respinto sul nascere. Lui non si ferma: il 1° marzo 2023, il suo partito Potere Ebraico porta alla Knesset un nuovo disegno di legge che ottiene 55 voti favorevoli contro 9 contrari. Anche stavolta la proposta si arena e non passa definitivamente.
E ora, con il clima politico israeliano surriscaldato come non mai, come finirà questa escalation?
Di Roberto Valtolina
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