24 Ottobre 2025
Macron e Voltaire Fonte: Ig @mae_haiti
Nel 2025, a duecento anni esatti da quel 17 aprile 1825 in cui undici navi da guerra francesi puntarono i cannoni sulle coste haitiane per imporre un "risarcimento" ingiusto, scandaloso e impossibile, la questione del debito coloniale torna prepotentemente alla ribalta internazionale. E lo fa mentre Haiti sprofonda in una delle crisi umanitarie più drammatiche del continente americano, con oltre 3.000 persone uccise solo nei primi sei mesi del 2025 dalla violenza delle gang che controllano ormai l'85% della capitale Port-au-Prince.
La storia è nota ma non per questo meno scandalosa. Nel 1825, il re francese Carlo X impose alla giovane Repubblica di Haiti – nata appena ventuno anni prima come prima nazione nera indipendente della storia, frutto della rivoluzione degli schiavi contro il dominio coloniale – un "indennizzo" di 150 milioni di franchi d'oro. La motivazione? Risarcire gli ex proprietari di schiavi per la "perdita" delle loro "proprietà umane" e della redditizia colonia. Sconvolgente naturalmente, ma è andata così.
Per Haiti, quella somma rappresentava circa il 300% del suo reddito nazionale: l'equivalente di tre anni di produzione totale del Paese. Un debito impossibile da pagare in un'unica soluzione. Nel 1838, l'importo venne ridotto a 90 milioni di franchi, ma questo non cambiò sostanzialmente la situazione: per far fronte al pagamento, Haiti fu costretta a contrarre prestiti da banche francesi e statunitensi a tassi d'interesse esorbitanti, destinando fino all'80% del proprio bilancio nazionale al servizio del debito.
È questa la ragione per cui gli storici parlano di "doppio debito": Haiti dovette pagare non solo l'indennizzo originale, ma anche decenni di interessi su prestiti forzati, in un meccanismo di dipendenza economica che si protrasse fino al 1947, quando l'ultimo pagamento venne finalmente saldato. Secondo quanto emerso dalla ricerca storica, parte di quei fondi contribuì persino alla costruzione della Torre Eiffel, simbolo della grandeur francese costruito anche con il sangue degli ex schiavi haitiani.
Nel maggio 2025, l'economista Thomas Piketty ha rilanciato con forza il tema delle riparazioni in un articolo apparso su Le Monde e ripreso dalla rivista Internazionale. Secondo Piketty, traducendo il tributo del 1825 in valuta corrente utilizzando la stessa percentuale del reddito nazionale haitiano attuale, la Francia dovrebbe ad Haiti circa 30 miliardi di euro. Una somma importante, certo, ma che rappresenta meno dell'1% del debito pubblico francese (circa 3.300 miliardi di euro) e appena lo 0,2% dei patrimoni privati francesi.
Piketty fa riferimento al rapporto pubblicato nel 2023 dal Centre for Reparation Research dell'Università di Kingston (Giamaica) e dall'Associazione americana di diritto internazionale, coordinato da Patrick Robinson, ex Presidente del Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia e giudice giamaicano della Corte internazionale di giustizia. Si tratta, secondo l'economista francese, "del più importante documento pubblicato fino a oggi sulla questione delle riparazioni per l'abolizione della schiavitù", le cui stime sono state ufficialmente riprese dalla Comunità caraibica (CARICOM) e dall'Unione africana. Secondo altre stime riportate dal New York Times, Haiti avrebbe perso tra i 21 e i 115 miliardi di dollari in opportunità mancate a causa del debito coloniale.
Il 17 aprile 2025, in occasione del bicentenario dell'imposizione del debito, il Presidente francese Emmanuel Macron ha compiuto quello che alcuni osservatori hanno definito "un apparente passo in avanti". Macron ha riconosciuto che il cosiddetto "doppio debito" rappresenta una "forma d'ingiustizia iniziale" verso Haiti e che l'indennizzo del 1825 "metteva un prezzo sulla libertà di una giovane nazione, che era confrontata, fin dalla sua costituzione, alla forza ingiusta della storia".
L'inquilino dell'Eliseo ha annunciato l'istituzione di una commissione franco-haitiana di storici – presieduta dall'accademica haitiana Gusti-Klara Gaillard-Pourchet e dallo storico e diplomatico francese Yves Saint-Geours – incaricata di studiare in dettaglio il caso e di analizzare l'impatto del debito nella storia haitiana, per poi consegnare raccomandazioni ai due governi. Si tratta dello stesso metodo già adottato da Parigi per le controversie sul ruolo francese durante il genocidio in Ruanda e per la colonizzazione in Camerun. Macron ha parlato di un "lavoro di riconoscimento e non di pentimento", lasciando intendere che si trarranno "tutte le conclusioni una volta completato questo progetto".
La questione di una vera e propria "restituzione" o "riparazione" – rivendicata da decenni da Haiti – non è stata però ancora affrontata concretamente. Nel luglio 2025, oltre 60 organizzazioni haitiane e internazionali hanno inviato una lettera aperta a Macron chiedendo di rimediare a quella vera "ingiustizia storica", definendo il debito del 1825 un "ricatto dell'indipendenza" e sottolineando che l'accordo era nullo già alla luce delle leggi dell'epoca. Finora però dall'Eliseo non è arrivata alcuna risposta.
Non è la prima volta che la Francia viene chiamata a fare i conti con questo passato. Nel 2004, l'allora presidente haitiano Jean-Bertrand Aristide aveva rivendicato una riparazione di 21 miliardi di dollari, immediatamente bollata da Parigi come "un'esagerazione demagogica". Nel 2012, il presidente François Hollande, in visita ad Haiti, aveva riconosciuto brevemente e genericamente che la Francia "doveva qualcosa" ad Haiti, senza però impegnarsi su alcun tipo di riparazione.
L'episodio più imbarazzante per Macron è avvenuto a margine del G20 di Rio de Janeiro, nel novembre 2024, quando il Presidente francese è stato ripreso in un video mentre rispondeva duramente a un passante (presumibilmente haitiano) che lo accusava di essere responsabile della crisi ad Haiti: "Sono gli haitiani che hanno distrutto Haiti lasciando proliferare il narcotraffico", ha affermato Macron, provocando immediate polemiche.
Ad ogni modo mentre a Parigi si discute di commissioni storiche, la situazione ad Haiti è drammatica. Il Paese rimane il più povero delle Americhe e d'Occidente. Nei primi sei mesi del 2025, sono state uccise oltre 3.000 persone, tra cui 136 bambini. Le bande armate controllano più del 75% della capitale Port-au-Prince e vaste aree rurali, imponendo una vera e propria "governance criminale" nelle zone dove lo Stato è completamente assente.
Secondo i dati dell'ONU, quasi 1,3 milioni di persone sono sfollate interne (di cui oltre 680.000 bambini), oltre 5,7 milioni di haitiani soffrono di insicurezza alimentare, e il sistema sanitario è al collasso. Le violenze sessuali contro i bambini sono aumentate del 1.000% nel 2024 rispetto all'anno precedente, con le gang che usano lo stupro come strumento di terrorismo contro le comunità.
Circa il 47% della popolazione è analfabeta, l'80% dei laureati è fuori dal Paese, e nel solo 2023 sono state chiuse circa 1.000 scuole, di cui almeno 300 distrutte. Il salario giornaliero di un operaio è inferiore ai cinque dollari, mentre per una lavoratrice domestica non raggiunge i due dollari al giorno.
Gli esperti (tra i quali Ugo Panizza, docente di economia internazionale al Graduate Institute di Ginevra e Mitu Gulati, docente di Diritto Internazionale all'Università della Virginia) concordano sul fatto che esista un legame diretto tra il debito coloniale e l'attuale situazione di Haiti. Il meccanismo di indebitamento imposto nel 1825 impedì al giovane Stato di investire in istruzione, sanità e sviluppo istituzionale proprio nei decenni cruciali della sua formazione. Le risorse che avrebbero dovuto costruire le fondamenta di uno Stato moderno vennero invece drenate verso le banche francesi e gli ex proprietari di schiavi. Come ha sottolineato Piketty, "gran parte di quei proventi fu utilizzata per costruire la Tour Eiffel", mentre Haiti sprofondava in una spirale di povertà e dipendenza. I porti francesi di Nantes, Bordeaux e La Rochelle – che nell'aprile 2025 hanno riconosciuto il loro coinvolgimento nella tratta degli schiavi – prosperarono grazie al commercio dello zucchero, del rum e del caffè prodotti dal lavoro schiavistico haitiano.
Ma il caso haitiano non è isolato. Come ricorda il Report on Reparations for Transatlantic Chattel Slavery in the Americas and the Caribbean, presentato nel giugno 2023 e commissionato dall'American Society of International Law(ASIL) in partnership con l'Università delle West Indies, la questione delle riparazioni per la schiavitù riguarda l'intero mondo coloniale e ha assunto nuova centralità nel dibattito internazionale. Il rapporto stima che i Paesi che hanno tratto profitto dalla schiavitù transatlantica (Gran Bretagna, Francia, Portogallo, Paesi Bassi, Brasile e Stati Uniti) dovrebbero complessivamente circa 108 trilioni di dollari in riparazioni. Tuttavia, come nota amaramente Piketty, "il fatto stesso che nei Paesi occidentali se ne sia discusso così poco dimostra l'inquietante scollamento tra Paesi del nord e Paesi del sud del mondo che caratterizza la nostra epoca". E aggiunge: "I Paesi occidentali non potranno eludere in eterno questi dibattiti, a meno che non vogliano essere tagliati fuori per sempre dal resto del mondo".
La commissione istituita da Macron rappresenta un primo, timido riconoscimento. Ma gli attivisti haitiani e i sostenitori delle riparazioni rimangono scettici. Si chiedono: servirà davvero a portare a una restituzione concreta, o sarà l'ennesima strategia per diluire le responsabilità nel tempo? La risposta dipenderà anche dalla pressione internazionale e dalla capacità della società civile di mantenere alta l'attenzione su questa "crisi dimenticata". Come ha osservato padre Giulio Albanese, direttore dell'Ufficio Cooperazione Missionaria tra le Chiese di Roma, in occasione del Giubileo 2025: "Come Chiesa non possiamo stare a guardare: che il Giubileo sia un tempo di conversione, di remissione del debito".
Il 2025, anno del bicentenario, potrebbe davvero essere "il momento della verità" che gli attivisti haitiani sperano. O potrebbe rivelarsi l'ennesima occasione perduta per dare giustizia a un popolo che, due secoli fa, ha dovuto pagare per la propria libertà e che ancora oggi ne paga le conseguenze.
Di Eugenio Cardi
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