29 Settembre 2025
Knesset Fonte: Wikipedia
In Israele si riaccende il dibattito sulla pena di morte per i terroristi. Dopo l’approvazione preliminare da parte del gabinetto di sicurezza, il parlamento israeliano – la Knesset – dovrà esprimersi su una proposta di riforma che estenderebbe l’applicazione della pena capitale anche ai casi di terrorismo. Si tratta di una misura senza precedenti nella storia recente del Paese, dove la pena di morte è stata utilizzata una sola volta, nel 1962, per giustiziare Adolf Eichmann, uno degli architetti dell’Olocausto.
La proposta, presentata dall’ultranazionalista Limor Son Har-Melech del partito Otzma Yehudit, è stata approvata in commissione con quattro voti favorevoli e uno contrario. A opporsi è stato il deputato laburista Gilad Kariv, espulso dall’aula dopo un intervento particolarmente acceso. Non sono mancate perplessità anche sul piano procedurale: il consulente legale della commissione, Iddo Ben Yitzhak, ha contestato la legittimità del voto, sostenendo che sia avvenuto in un momento non conforme alla prassi parlamentare e senza un adeguato confronto con i servizi di sicurezza.
Tra i più accesi sostenitori della riforma figura il ministro per la Pubblica Sicurezza Itamar Ben-Gvir, leader dell’ala più radicale del governo Netanyahu. Il ministro ha salutato la decisione come una “vittoria della giustizia contro il terrorismo”, parole che hanno subito sollevato polemiche. Secondo i critici, Ben-Gvir starebbe cavalcando la questione a fini politici e mediatici, senza valutare le possibili ricadute sulla sicurezza nazionale.
Le obiezioni arrivano anche da una parte della società israeliana. I familiari degli ostaggi nelle mani di Hamas hanno espresso forte preoccupazione, temendo che la minaccia della pena capitale possa aggravare le condizioni dei prigionieri e compromettere le trattative per il loro rilascio. “Ogni dichiarazione pubblica su questo tema – ha scritto sui social Lishai Miran, moglie di un rapito – peggiora la vita dei nostri cari e aumenta i rischi di violenze contro di loro”.
A lanciare un appello alla cautela è stato anche Gal Hirsch, coordinatore governativo per la questione degli ostaggi. Secondo lui, introdurre la pena di morte in questa fase rischia di complicare i negoziati con Hamas, ricordando che restano ancora 48 israeliani prigionieri, di cui 20 vivi e due in condizioni critiche.
Sul piano internazionale, diverse organizzazioni hanno espresso allarme. Il Comitato pubblico contro la tortura in Israele ha denunciato una “pericolosa deriva” che rischia di alimentare un ciclo di crudeltà e vendette, minando i principi fondamentali dei diritti umani. Anche alcuni giuristi avvertono che una definizione troppo ampia di “terrorismo” potrebbe prestarsi a interpretazioni arbitrarie e strumentali.
Ora la proposta dovrà affrontare l’iter parlamentare, che prevede tre letture prima del voto definitivo. Un percorso dall’esito incerto: se da un lato la coalizione di governo potrebbe accelerarne l’approvazione, dall’altro la pressione internazionale e le divisioni interne potrebbero rallentarne l’avanzata.
Il dibattito non è solo giuridico ma profondamente politico e morale: da un lato la volontà di mostrare fermezza contro il terrorismo, dall’altro il timore di compromettere principi democratici e la sicurezza degli ostaggi.
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