18 Maggio 2021
Generali continua a macinare numeri in crescita. I risultati finanziari del primo trimestre 2021 mostrano un risultato operativo a 1,6 miliardi (+11 per cento rispetto al 31 marzo di un anno fa), premi lordi a 19,7 miliardi (+4,2 per cento) e un utile netto salito a 802 milioni (dai 113 al termine del primo trimestre 2020), superiore alle attese degli analisti che avevano stimato 705 milioni.
Numeri che mostrano un’ottima redditività del business ma che non attenuano lo scontro tutto interno al cda del Leone di Trieste, che ha poco a che vedere con le performance industriali. In ballo c’è il futuro della governance di Generali, in una contrapposizione che vede schierati (per ora) da un lato Mediobanca, primo azionista con il 12,9 per cento, e dall’altro Francesco Gaetano Caltagirone, vicepresidente vicario della compagnia e secondo azionista (detiene una quota del 5,63 per cento), in vista del rinnovo del consiglio di amministrazione che avverrà nell’aprile 2022.
Il cambio di Statuto
Tutto ha origine dal rinnovamento dello Statuto della compagnia, votato all’unanimità dal cda di Generali lo scorso anno. Il documento introduce diverse novità rispetto al passato, tra cui il fatto che, per la prima volta nella storia del Leone di Trieste, sarà lo stesso consiglio uscente a presentare una propria lista di candidati per rinnovare il board; accanto a questa lista di maggioranza, sono poi previsti dei posti per due diverse liste di minoranza.
Fino a oggi i candidati al nuovo consiglio sono stati decisi dall’azionista di maggioranza, d’intesa con i principali soci, a cui erano destinati dei posti nel board. Il nuovo criterio di selezione del nuovo consiglio, è nato con l’obiettivo di modernizzare la governance del primo gruppo assicurativo italiano per raccolta premi, rendendola più vicina agli standard internazionali e attraente per gli investitori istituzionali (che rappresentano circa il 40 per cento dei soci di Generali), oltre che una garanzia per tutti gli azionisti, grandi e piccoli.
Caltagirone, tuttavia, non ci sta. Pur avendo egli stesso votato in sede di consiglio le modifiche allo Statuto di cui sopra, ora sembra contestare questa impostazione, e in particolare l’egemonia del primo azionista che, è questo il suo timore, sarà ancora una volta l’attore più determinante nella scelta della nuova governance di Generali. L’ingegnere romano sta provando quindi a creare un argine nei confronti di Mediobanca, sperando di tirare dalla sua parte anche il terzo azionista del Leone, quel Leonardo Del Vecchio nella cui mire, per altro, è finita proprio la banca di Piazzetta Cuccia.
Assenze polemiche
I primi episodi di contestazione si sono manifestati sotto forma di assenze “strategiche” ad alcune votazioni chiave. Caltagirone era assente, ad esempio, al voto sulla decisione di acquisire il 24,4 per cento di Cattolica. Così come non era presente quando il cda ha dovuto votare l’acquisizione delle attività assicurative di Axa in Malesia, rilevate da Generali per 300 milioni. Il tutto è poi culminato in quanto accaduto lo scorso 29 aprile, quando l’ingegnere romano aveva deciso polemicamente di non presentare le proprie azioni nell’assemblea chiamata a votare il bilancio 2020. Nella stessa giornata è intervenuto duramente in consiglio per contestare il merito e il metodo di gestione della compagnia, a suo modo di vedere troppo influenzata da Mediobanca.
Cosa chiede Caltagirone
Le trattative per ricomporre il dissidio sono aperte. Anche perché, per avere la forza e l’autorevolezza necessaria, la lista che il cda dovrà presentare per il rinnovo dei componenti avrebbe bisogno di un voto all’unanimità del consiglio. Ma cosa chiede, nel concreto, Caltagirone? Più che a una rimozione dell’attuale amministratore delegato, Philippe Donnet (il quale, per altro, ha portato ottimi risultati nel corso della sua gestione), l’ingegnere romano punta alla creazione di ruoli di potere intermedi. Caltagirone vorrebbe l’istituzione di un comitato esecutivo, dove un numero ristretto di consiglieri dovrebbe poter avere una maggiore presa del consiglio di amministrazione sul management della compagnia, con l’introduzione della figura del direttore generale, da affiancare all’amministratore delegato, il tutto coronato da un presidente con poteri rafforzati rispetto a quelli attuali. Un quadro che però rappresenta una virata di 180 gradi rispetto all’autonomia del cda, oltre che una forma di burocratizzazione tutta “romana” della governance, che potrebbe andare ad appesantire la necessaria snellezza dei processi e soprattutto di minare l’autonomia del management di un’azienda sempre più chiamata a competere con i grandi campioni assicurativi, nazionali ma soprattutto internazionali.
Nei giorni scorsi, secondo quanto riportato ieri da Repubblica, l’ingegnere romano avrebbe scritto un’email ai consiglieri per sottolineare ciò che, a suo parere, non funziona in Generali e chiedendo una discussione approfondita sugli aspetti da lui sollevati.
I giochi sono quindi aperti. Resta da vedere come si muoveranno gli altri grandi soci: il già citato Del Vecchio, la famiglia Benetton (quota del 3,97 per cento) e il gruppo De Agostini (1 per cento).
Di Silvano Telesi.
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