18 Novembre 2025
L'Onu ha infine deciso di approvare la risoluzione americana che supporta il piano di "pace" proposto dal Presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Il voto delle Nazioni Unite è arrivato poco dopo le 23 di lunedì 17 novembre, e doveva decidere tra la proposta Usa e la risoluzione alternativa presentata, pochi giorni prima, da Mosca.
13 voti favorevoli e la significativa astensione di Cina e Russia per la risoluzione americana. È questo l'epilogo dell'atteso voto con cui il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si è espresso per decidere quale misura adottare nella gestione del conflitto tra Israele ed Hamas all'interno dell'enclave palestinese. Il testo approvato, modificato più volte durante i vari round negoziali, dà dunque l'ok all'instaurazione della controversa "forza internazionale di stabilizzazione" nella Striscia e al tanto discusso disarmo di Hamas. Mentre la Russia, che si "contendeva" il voto per la più recente risoluzione proposta, ha rifiutato la proposta Usa con netto silenzio, Mike Waltz, ambasciatore americano all'Onu, ha esultato, definendo "storico" il voto, e incensando l'establishment americano. "Sotto la presidenza di Donald Trump gli Stati Uniti continueranno a portare risultati con i nostri partner" ha dichiarato, ricorrendo al solito formulario retorico "porremo fine a decenni di spargimento di sangue e renderemo realtà una pace duratura".
Ma Hamas, con una lunga dichiarazione su Telegram, ha respinto la risoluzione Onu, vedendo giustamente nell'ok al piano di Trump l'attuazione di un ambiguo "meccanismo di tutela sulla Striscia" che non farà altro che "privarla della sua neutralità e trasformarla in una parte del conflitto a favore dell'occupazione israeliana".
Le negoziazioni tra Onu e amministrazione Usa erano partite già la settimana scorsa e avevano saldamente puntato a fare approvare un testo contenente, nel dettaglio, le direttive per un "comitato per la pace" fino alla fine di dicembre 2027. Comitato presieduto dallo stesso Trump, pronto ad autorizzare l'invio di una "forza internazionale di stabilizzazione" a cui già da tempo ci si sta preparando. I negoziati per la cosiddetta Fase 2 dell'accordo di "pace" di Trump, dopotutto, sono iniziati già da qualche tempo, segnati soprattutto dagli ultimi colloqui a Gerusalemme tra il premier israeliano Netanyahu e il genero di Trump Jared Kushner. Eppure, nonostante paesi come Egitto, Turchia e Stati Uniti (i firmatari degli accordi) avessero scalpitato per un'approvazione rapida del piano da parte dell'Onu, parallelamente Mosca si era inserita nella questione con un suo piano collaterale.
Un piano "fastidioso" nel senso che "getta discordia" così come l'aveva definito Washington, perché non solo si è presentato come valida alternativa ai progetti coordinati di Trump-Netanyahu, ma ha cercato fino all'ultimo di mettere sul tavolo delle trattative richieste "scomode", a cominciare dalla non smilitarizzazione della Striscia, fino al rifiuto della permanenza israeliana oltre la Linea Gialla. Ma soprattutto, la richiesta di una soluzione a due Stati, quella da sempre rigettata tanto da Tel Aviv quanto da Washington. A tal proposito, e secondo quanto riportato dal Ministero degli Affari Esteri russo, Putin aveva avuto col premier Netanyahu un "approfondito scambio di opinioni sulla situazione in Medio Oriente" durante il quale avevano parlato anche di "programma nucleare iraniano e (...) stabilizzazione in Siria". Eppure, il punto sulla soluzione a due Stati era stato quello su cui le due parti non erano uscite concilianti. Tant'è che i due ministri dell'ultra destra israeliana, Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich avevano tallonato Netanyahu chiedendogli di rilasciare una dichiarazione pubblica con cui chiarire una volta per tutte che "Israele non accetterà mai" la creazione di uno Stato Palestinese.
Dal canto suo, il ministro della Sicurezza Ben-Gvir era intervenuto con le solite tesi negazioniste e fuorvianti: "Non esiste un "popolo palestinese". Questa è un'invenzione priva di fondamento storico, archeologico o fattuale" aveva scritto in un post social. "L'insieme di immigrati dai paesi arabi in Terra d'Israele non costituiscono un popolo. (...) L'unica vera soluzione a Gaza è incoraggiare l'emigrazione" che - tradotto - coincide con la deportazione forzata. Più diretta era stata la reprimenda del ministro delle Finanze Smotrich verso Netanyahu: "Due mesi fa, subito dopo l'annuncio da parte di diversi Paesi del riconoscimento unilaterale di uno Stato palestinese, lei si è impegnato a rispondere alla questione con decisione (...). sono trascorsi due mesi in cui ha scelto il silenzio e la vergogna diplomatica (...). Formuli immediatamente una risposta adeguata e decisa che chiarisca al mondo intero: nessuno Stato palestinese sorgerà mai sulle terre della nostra Patria". E infatti, poco dopo era giunta la solita dichiarazione del primo ministro israeliano: "La nostra opposizione a uno Stato palestinese in qualsiasi territorio non è cambiata".
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