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Gaza, il piano di militarizzazione Usa firmato Kushner su divisione in due regioni Striscia, una sotto Idf e una "pericolosa e isolata" sotto Hamas - RETROSCENA

Il progetto di divisione di Gaza, ideato da Jared Kushner e sostenuto da Washington e Tel Aviv, rischia di trasformare la Striscia in una zona d’occupazione permanente

23 Ottobre 2025

Gaza

Gaza, fonte: Esercito israeliano

Si prospetta una "nuova Gaza" per gli Stati Uniti e Israele, ridisegnata ad hoc dai più alti funzionari dei due Paesi. A tracciare il progetto, l'architetto del Medio Oriente per l'Occidente: Jared Kushner, il genero del presidente americano Donald Trump, amico di famiglia del premier di Tel Aviv Benjamin Netanyahu, immobiliarista con interessi nella Striscia e in Cisgiordania.

Gaza, secondo il piano di "ricostruzione", che però pare più di militarizzazione, sarebbe divisa in due regioni: una sotto il controllo formale dell'Idf (quindi sostanzialmente comandata da Israele e Stati Uniti), mentre un'altra, definita "pericolosa", sotto Hamas. La prima godrebbe di finanziamenti occidentali, mentre la seconda sarebbe fondamentalmente abbandonata a se stessa, almeno fino a quando "Hamas non scelga il disarmo totale e la cessione del potere".

Insomma, l'ennesimo progetto per umiliare la Palestina. Il primo passo sarebbe quindi una perdita del proprio territorio. Poi, la perdita di sovranità e la legalizzazione del nemico in casa. In seguito, la militarizzazione del territorio, con il rischio costante di invasione e di attacchi. In ultimo, la fragilità strutturale e la morte in culla di qualsiasi Stato palestinese.

Gaza, il piano di militarizzazione Usa firmato Kushner su divisione in due regioni Striscia, una sotto Idf e una "pericolosa e isolata" sotto Hamas

Un piano per “ricostruire Gaza”, ma solo metà di essa. È questo, in sostanza, il progetto che sta emergendo dalle trattative tra Stati Uniti e Israele: una proposta che dividerebbe la Striscia in due aree distinte — una “sicura” sotto controllo israeliano e una “pericolosa”, ancora amministrata da Hamas — con la ricostruzione e gli aiuti concentrati esclusivamente sul lato israeliano.

Dietro il piano si muove Jared Kushner, genero del presidente Donald Trump e figura chiave delle politiche mediorientali dell’amministrazione repubblicana. Immobiliarista miliardario con stretti legami con la famiglia Netanyahu, Kushner non è un diplomatico di carriera, ma da anni coltiva interessi economici e politici nella regione. È lui ad aver delineato la cosiddetta “visione economica” del progetto: costruire una “nuova Gaza” sotto supervisione israeliana, dove investitori privati e capitali del Golfo possano finanziare infrastrutture, zone industriali e quartieri residenziali “sicuri” per i palestinesi disarmati.

Secondo il Wall Street Journal, il piano prevede che la parte “israeliana” di Gaza venga smilitarizzata e posta sotto controllo diretto dell’Idf, con il supporto di una futura “autorità transitoria” sostenuta da Washington. Gli Stati Uniti assicurerebbero la copertura diplomatica e finanziaria, mentre Israele gestirebbe sicurezza, logistica e confini. Dall’altra parte della linea di demarcazione resterebbe una Gaza isolata, deprivata e sotto blocco, fino a quando "Hamas non accetterà il disarmo totale e la cessione del potere".

La retorica ufficiale parla di “stabilità” e “ricostruzione”, ma di fatto il piano rappresenta una nuova forma di occupazione militare e di frammentazione territoriale. Fonti diplomatiche arabe temono che Israele possa trasformare la zona “sicura” in un’area di controllo permanente, consolidando una presenza militare nella Striscia e spingendo centinaia di migliaia di palestinesi verso un’ulteriore marginalizzazione e deportazione.

L’Egitto e il Qatar, mediatori del cessate il fuoco, hanno espresso opposizione netta: accettare una divisione formale significherebbe, dicono, “legittimare l’annessione graduale” di Gaza. Nessun Paese arabo, al momento, è disposto ad assumersi la responsabilità di polizia o amministrazione nel nuovo assetto, temendo di diventare parte di un meccanismo di controllo israeliano mascherato da intervento umanitario.

Il vicepresidente statunitense J.D. Vance, durante una conferenza stampa in Israele, ha dichiarato che “Gaza oggi è divisa in due zone, una relativamente sicura e una estremamente pericolosa. L’obiettivo è espandere la zona sicura geograficamente”. Parole che riecheggiano il linguaggio della “pacificazione coloniale”: la costruzione della sicurezza attraverso la segregazione.

La “nuova Gaza” immaginata da Kushner e sostenuta dall’amministrazione Trump non è quindi un piano di ricostruzione, ma di controllo. L’idea di una ricostruzione condizionata — aiuti solo per i territori disarmati, investimenti solo per chi si piega al diktat israeliano — sancisce una punizione collettiva per oltre due milioni di civili palestinesi.

Sul piano politico, il piano si inserisce in una logica di “ingegneria territoriale”: trasformare Gaza in un protettorato israeliano a tempo indeterminato, svuotato della sua dimensione nazionale e subordinato economicamente a Tel Aviv. Kushner, che già nel 2020 aveva promosso il controverso “Peace to Prosperity Plan” per la Cisgiordania, appare oggi il principale architetto di una “pace economicacostruita sull’occupazione.

Nel frattempo, sul terreno, la “nuova Gaza” di Kushner rischia di diventare una realtà non solo diplomatica, ma fisica: una Striscia divisa, militarizzata e disegnata a misura degli interessi israeliani e americani.

Dietro la facciata della ricostruzione si profila un progetto di ridefinizione geopolitica che mira a dissolvere l’identità palestinese, sostituendola con una gestione coloniale dell’“ordine” e della “sicurezza”. Gaza, ancora una volta, non verrebbe liberata: verrebbe ridisegnata.

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