07 Dicembre 2025
Quando si parla dello scandalo Jeffrey Epstein e delle sue implicazioni, le certezze — pur dolorose — sembrano poche; molto più numerosi, invece, restano i dubbi: sospetti, omissioni, zone d’ombra che continuano a gravare su chi avrebbe dovuto vigilare, ma non l’ha fatto.
Fin dagli anni Novanta, come raccontato da vittime come Maria Farmer, le autorità — locali come federali — ricevettero segnalazioni chiare sul ruolo di Ghislaine Maxwell nella rete di sfruttamento minorile di Epstein. Eppure, quando nel 2007 venne stipulato un accordo di non-persecuzione (NPA) nei confronti di Epstein, il coinvolgimento di Maxwell fu ignorato o dichiarato “non sufficientemente provato".
Questo non è un semplice fallimento investigativo: è qualcosa che assomiglia a una decisione consapevole di minimizzare la portata del caso. In quasi due decenni, il sistema — quello giudiziario, quello finanziario, quello mediatico — sembra aver chiuso gli occhi: anche società vicine a Epstein, conti bancari sospetti, segnalazioni, transazioni in contanti, non bastarono a smascherare un traffico che, a quanto denunciano le vittime, proseguì per anni.
I processi hanno riguardato solo una frazione della rete: Maxwell è l’unica figura finita in carcere, condannata per traffico di minori; Epstein morì suicida in cella nel 2019 prima di essere processato fino in fondo. Quanto agli altri — gli “altri” che avrebbero potuto partecipare, coprire, permettere — la magistratura non è mai giunta a formulare accuse. In molti casi non ci furono nemmeno indagini approfondite.
Il nuovo capitolo — l’approvazione della Epstein Files Transparency Act nel novembre 2025 — potrebbe finalmente costringere il sistema a fare i conti con il passato: entro la metà di dicembre, migliaia di pagine di fascicoli, verbali, e-mail, registri di volo e comunicazioni interne al Dipartimento di Giustizia USA dovrebbero essere resi pubblici. Una potenziale svolta che però porta con sé nuovi interrogativi: quanta libera scelta avrà il governo su cosa censurare? Quanto saranno preservate le identità delle vittime? E soprattutto: quanti nomi pesanti, tra politici, imprenditori, élite internazionali, emergeranno da quelle carte?
Infine, c’è una questione morale — e di responsabilità collettiva: non si può più fingere che Epstein fosse un caso isolato, un predatore solitario. La sua impunità ripetuta — per anni, decenni — racconta di una rete di complicità, silenzi, omissioni, connivenze. Un sistema che non ha protetto i più vulnerabili e che, forse, ha protetto troppe persone insospettabili.
Ora la sfida è una sola: usare la trasparenza non come un momento di esibizione, ma come un banco di verità.
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