13 Ottobre 2025
Gaza Riviera e Trump
A febbraio, durante il genocidio in corso, aveva già fatto discutere per un video in cui Gaza, devastata da mesi di bombardamenti, veniva immaginata come una scintillante meta turistica sul Mediterraneo, con grattacieli, hotel di lusso e spiagge bianche. Oggi, con la tregua appena raggiunta, Donald Trump è tornato a insistere sul progetto “Gaza Riviera” in collaborazione con Tony Blair mentre si dirigeva in Israele. “È devastato, è come un cantiere di demolizione. Bisogna sbarazzarsi di quello che c’è lì”, ha detto ai giornalisti a bordo dell’Air Force One. E poi ha aggiunto: “Un anno è molto veloce, ma col passare degli anni la situazione sarà molto bella”.
Il progetto, che Trump aveva rilanciato a febbraio con un video promozionale sui suoi canali social, punta a trasformare la Striscia di Gaza in una “Riviera” di lusso, costruita sulle macerie lasciate da due anni di raid e bombardamenti israeliani. L’idea, visionaria e controversa, immagina una nuova destinazione turistica di pregio, con passeggiate sul mare, torri residenziali e resort internazionali, in quella che oggi è una delle aree più martoriate del pianeta.
Alla domanda dei giornalisti se il piano di ricostruzione sia ancora in piedi, Trump ha risposto di non sapere se “sarebbe stato possibile per un po’”. Ma il presidente Usa non ha nascosto la volontà di mantenere viva la prospettiva di un futuro diverso per Gaza, nonostante il peso delle distruzioni. Secondo i dati più recenti del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (Unep), infatti, circa il 78% dei 250 mila edifici stimati nella Striscia risulta distrutto o gravemente danneggiato, con un volume complessivo di 61 milioni di tonnellate di macerie: 17 volte la somma di tutti i detriti prodotti dai bombardamenti dal 2008.
Un’enormità che rende il processo di bonifica e ricostruzione quasi utopico. Le stime parlano di decenni solo per rimuovere i detriti, senza contare la contaminazione del suolo e delle acque e la presenza di almeno 12 mila corpi ancora sepolti sotto le rovine. Gaza, insomma, è oggi non solo una città rasa al suolo, ma anche un immenso cimitero.
Eppure, dietro la visione della “Gaza Riviera”, si muove una rete ben precisa. Al fianco di Trump ci sarebbero il genero Jared Kushner, già artefice degli Accordi di Abramo e uomo d’affari influente nel Golfo, e l’inviato speciale Steve Witkoff. Ma il volto politico del piano potrebbe essere quello di Tony Blair, ex premier britannico e storico alleato di Washington.
Blair, oggi 72enne, si sarebbe di fatto autocandidato per un ruolo da governatore ad interim di Gaza, a capo di un’amministrazione transitoria formalmente coperta dalle insegne delle Nazioni Unite. Una sorta di protettorato internazionale con la partecipazione di funzionari arabi e almeno un rappresentante palestinese “tecnico”, in attesa di un futuro ritorno della Striscia all’Autorità nazionale palestinese — obiettivo che, secondo indiscrezioni, sarebbe rinviato “di anni”.
Le basi di questa ipotesi si troverebbero nei colloqui riservati che Blair avrebbe avuto negli ultimi mesi proprio con Kushner e Witkoff, discussioni che avrebbero gettato le fondamenta politiche e finanziarie di quella che, nelle intenzioni di Trump, dovrebbe essere la “nuova Gaza”: non più simbolo di distruzione, ma vetrina di una "pace" costruita sul cemento delle sue rovine.
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