07 Settembre 2025
La parata militare del 2 settembre scorso in Piazza Tienanmen ha indubbiamente colpito l'opinione pubblica di mezzo mondo, anche perché Pechino non ha di certo lesinato la dovuta propaganda per un evento che, ufficialmente era rivolto al festeggiamento del 80° anniversario della Vittoria della 2^ Guerra Mondiale, ma in realtà doveva costituire un vero proprio manifesto universale del pensiero geopolitico della Cina.
E così è stato, perché con una magnifica coreografia fornita dalla marcia di migliaia di soldati con una formalità a livello di automa (nessun reparto militare al mondo riesce ad eguagliare) e dallo sfilamento degli armamenti più moderni delle Forze Armate cinesi (probabilmente i migliori e più pericolosi non sono stati mostrati), Xi Jinping ha prima accolto e poi indottrinato le decine di Capi di Governo accorsi per la celebrazione, tutti rigorosamente appartenenti a quella parte di mondo, che, sempre di più, si sta contrapponendo all'Occidente. Infatti, dell'Ovest terracqueo non era presente alcun Leader, a meno del Presidente della Repubblica di Serbia Vucic, la cui partecipazione dovrebbe indurre a molte riflessioni, in particolare sul futuro dei Balcani.
Tuttavia, nelle ore successive alla parata, agli occhi del mondo occidentale che conta (o che dovrebbe), la Cina si è ritrovata a dover motivare solo gli inviti del russo Vladimir Putin e del Nord Coreano Kim Jong-un, quasi fosse una novità che Pechino, Mosca e Pyongyang ormai costituiscono un terzetto che si sta affiatando sempre di più, anche in termini di cooperazione militare.
Il Presidente Trump ha accusato la Cina di “cospirazione contro gli Stati Uniti”, ricevendo la serafica risposta del portavoce del Ministero degli Esteri “Lo sviluppo delle relazioni diplomatiche della Cina con qualsiasi Paese non è mai diretto contro terze parti”, con buona pace delle isterie di Washington.
Di eguale tenore e scontata superficialità il commento di Kaja Kallas, la responsabile esteri dell'Unione Europea, secondo la quale "Putin, Kim e Xi sono apparsi insieme in pubblico per la prima volta, proiettando una visione di pace attraverso la canna di un fucile. Non è questo il significato di pace per l'Europa”. C'é da chiedersi se sia la stessa Europa che ha fatto suo il concetto “Si vis pacem para bellum” per animare il Rearm Europe Plan, quel pacifico progetto di riarmo europeo da 800 miliardi di Euro in 5 anni.
La Kallas ha poi proseguito affermando che questo incontro “invia segnali anti-occidentali” e costituisce una “sfida diretta al sistema internazionale basato su regole”. Anche qui c'é da chiedersi se si sia riferita a quelle regole per cui la NATO può sentirsi libera di continuare ad allargarsi verso est, pensando anche di inglobare l'Ucraina, mentre Cina, Russia e Nord Corea, che non devono assolutamente sentirsi minacciate da tele espansione, non hanno alcun diritto a collaborare militarmente. La solita solfa stantia, tanto propagandistica quanto allarmista (chissà quanti Cittadini europei ci credono) che, per esempio, sta portando gli ospedali francesi ad una folle riconversione bellica.
Ma questa ossessionante mania di persecuzione ha determinato un'incredibile miopia su un altro aspetto, rivelatosi un paio di giorni prima della parata che, invece, avrebbe dovuto attirare l'attenzione sia di Washington che dell'Unione Europea.
Infatti, la celebrazione della vittoria è stata preceduta dal vertice della SCO – Shanghai Cooperation Organisation (Organizzazione intergovernativa per la cooperazione economica e politica, con 10 Membri tra cui Cina, Russia ed India), durante la quale il Premier indiano Narendra Modi ha incontrato Putin, confermando con grande enfasi le strette relazioni bilaterali tra i due Paesi. Apparentemente, potrebbe sembrare il normale comportamento tra due Leader, nell'ambito di un incontro internazionale, se non fosse che bisogna contestualizzarlo in quanto avvenuto nei mesi precedenti, tra India e Stati Uniti.
Si deve premettere che da anni le varie Amministrazioni di Washington hanno inserito Nuova Delhi tra le massime priorità della propria strategia nell'Indo-Pacifico, cercando con assidua continuità di mantenere il colosso asiatico nell'area di influenza occidentale, perché fondamentale per il mantenimento dell'equilibrio nella Regione, soprattutto di fronte al crescente connubio Cina-Russia. In risposta a tale calcolato interesse americano, l'India ha però sempre mantenuto un atteggiamento di amichevole ma moderata amicizia, senza dare la sensazione di volersi schierare definitivamente.
Fedeli a tale approccio di equidistanza, gli Indiani hanno quindi intrattenuto relazioni economico-commerciali con gli USA, ma anche con la Russia, soprattutto nelle forniture di petrolio, senza prestare troppa attenzione ai moniti e agli inviti americani.
Tuttavia, nell'ultima visita di Modi nella Capitale USA del febbraio scorso, nella Stanza Ovale Trump ha tramutato le parole in fatti, o meglio in dazi, affibbiando a Modi un incremento del 25% delle tariffe doganali, portando in tal modo l'India, al pari del Brasile, a dover sottostare ad un totale di 50% di dazi sulle proprie merci. Secondo la visione coercitiva che il Tycoon sta cercando di imporre a mezzo mondo, questo accanimento doganale avrebbe dovuto convincere l'India a rivedere, ovviamente in termini riduttivi, i suoi accordi petroliferi con Mosca, in modo da non compromettere l'efficacia delle sanzioni statunitensi verso la Russia.
Tale provvedimento, che ha influito negativamente sull'economia indiana, non ha comunque indotto Modi a modificare il suo approccio verso Putin, con il quale ha intrattenuto in agosto un lungo colloquio telefonico, durante il quale non solo ha confermato quanto commercialmente già in atto (la Russia fornisce il 35% dell'esigenza petrolifera indiana), ma addirittura ha auspicato di rafforzare la “partnership strategica e privilegiata” tra i due Paesi, mediante un incontro nella Capitale indiana entro fine 2025.
Se nella calura estiva, il comportamento indiano poteva sembrare dettato dalla volontà di rimanere in linea con il concetto di “autonomia strategica”, che Nuova Delhi ha perseguito per decenni, portandola anche a non aderire alle sanzioni occidentali contro Mosca, invece la frescura settembrina cinese, che ha caratterizzato il vertice della SCO, sembra aver rivelato un cambio di strategia da parte indiana, che non ha lesinato messaggi di ulteriore e rinnovata partnership con Mosca. Infatti, è difficile pensare che dichiarazioni come “Anche nelle situazioni più difficili, l'India e la Russia hanno sempre camminato fianco a fianco” e “La nostra stretta collaborazione è importante non solo per i nostri popoli, ma anche per la pace, la stabilità ed il benessere globale”, siano il segnale di equilibrio tra le parti, perché è poco probabile che Modi possa rivolgerle anche Trump.
L'affrancamento indiano dall'Ovest é animato anche da quanto l'India ha concordato con la Cina, Paese con cui i rapporti passati non sono stati idilliaci (tuttora ci sono controversie territoriali). Però, questo vertice della SCO ha deciso la creazione della “SCO Development Bank”, destinata a progetti di sviluppo a favore dell'integrazione dei 10 Paesi Membri. Un atto che, senza dubbio, ha avvicinato Nuova Delhi a Pechino, così come le proposte di Xi Jingping di allargare a tutti i Membri la partecipazione al progetto di una stazione cinese di ricerca lunare e alla creazione di un centro di cooperazione sull’Intelligenza Artificiale. Due “aperture” da parte cinese che hanno particolarmente soddisfatto Modi, che ha sottolineato l’importanza di “garantire pari diritti di accesso a queste tecnologie per tutti”. Tutti passi che sembrano allontanare sempre più l'India dagli Stati Uniti e dall'Occidente. Ma di questo sembra che la Kallas non se ne sia proprio accorta e Trump non se ne stia curando troppo. Ma il problema c'é ed é molto serio.
Di Marcello Bellacicco, Generale di Corpo d'Armata degli Alpini
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