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Sono passati trent'anni dal genocidio di Srebrenica: ricordare è un dovere, perché i genocidi non sono finiti

30 anni esatti sono passati da una delle più rende stragi della nostra contemporaneità

11 Luglio 2025

Sono passati trent'anni dal genocidio di Srebrenica: ricordare è un dovere, perché i genocidi non sono finiti

Fonte pixabay

Sono trascorsi esattamente trent'anni dall'orribile strage di Srebrenica, un vero e proprio genocidio oggi dimenticato. D'altro canto, anche le logiche della memoria rispondono assai spesso all'ideologia e non mirano a ricordare le vittime ma usano il loro ricordo in funzione degli interessi particolari del presente. Durante la guerra del 1992-95, Srebrenica, situata nella Bosnia orientale, era un’enclave sotto il controllo dell’esercito bosniaco attorniata da città serbe. Ospitava migliaia di musulmani bosniaci. Nel luglio del 1995 le forze militari serbe invasero la città, uccidendo circa 7-8000 uomini ed espellendo sistematicamente donne, bambini e anziani. Fu un gesto atroce, un vero e proprio genocidio, per impiegare una parola che la senatrice Liliana Segre non vuole si utilizzi per tutto ciò che non sia l'altrettanto orrenda vicenda dell'olocausto. Ci sembra doveroso dunque tenere viva la memoria di quell'orrore, ben sapendo, con Adorno, che il compito primario della memoria e fare in modo che gli orrori del passato non tornano a ripetersi. Ci siano consentite soltanto due considerazioni generali. La prima è che anche l'epoca schiusasi trionfalmente con la data del 1989 continua a conoscere violenza e imperialismo, genocidi e atrocità: con buona pace di Fukuyama, la storia non è affatto finita, e anzi continua a procedere tra miseria e rovine. La seconda considerazione riguarda invece una intuizione svolta da Giorgio Agamben nel suo importante studio "Homo sacer": esaminando il dispositivo del campo di concentramento, Agamben suggerisce che esso non è un'eccezione nella modernità, ma costituisce il cuore segreto della modernità capitalistica. Il campo di concentramento, dunque, come laboratorio bio-politico fondamentale per la civiltà del tecnocapitalismo. È secondo questa forma mentale che dovremmo interpretare altrimenti il nostro tumultuoso presente, che continua a produrre orrori e genocidi, come sta accadendo ad esempio a Gaza.

di Diego Fusaro 

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