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30esimo anniversario del massacro di Srebrenica, il genocidio ai danni di 8mila bosniaci musulmani da parte delle truppe serbo-bosniache di Mladic

Tra l'11 e il 19 luglio 1995, 8000 uomini bosniaci musulmani sono stati uccisi dalle truppe serbo bosniache di Ratko Mladic, mentre donne e bambini sono stati deportati fuori dall'area di Srebrenica. Il tutto senza la minima azione di difesa da parte della Nato

11 Luglio 2025

Massacro di Srebrenica

Massacro di Srebrenica, fonte: Wikipedia

Trent'anni fa avveniva il genocidio di Srebrenica, uno degli episodi più tragici in Europa dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, il peggior crimine di guerra nel vecchio continente dal 1945. Tra l'11 e il 19 luglio 1995, durante la guerra di Bosnia, le truppe serbo-bosniache guidate dal generale Ratko Mladic hanno massacrato 8000 uomini e ragazzi bosniaci musulmani e hanno deportato 20 mila tra donne e bambini di Srebrenica, zona di sicurezza delle Nazioni Unite sotto la protezione dei caschi blu olandesi, fuori dall'area protetta. Tutto questo senza una reale reazione né da parte dell'Onu, né da parte della Nato, che hanno risposto entrambe con colpevole ritardo.

30esimo anniversario del massacro di Srebrenica, il genocidio ai danni di 8mila bosniaci musulmani da parte delle truppe serbo-bosniache di Mladic

L'11 luglio è stato scelto come giorno per commemorare il genocidio di Srebrenica, in cui hanno perso la vita 8000 bosniaci musulmani, nell'ambito della guerra di Bosnia, in corso dal 1992 al 1995.

Tra l'11 e il 19 luglio dell'ultimo anno di conflitto, le truppe serbo bosniache guidate dal generale Ratko Mladic hanno conquistato la città di Srebrenica, dichiarata "zona di sicurezza" due anni prima dalle Nazioni Unite e, per questo, sotto la protezione di circa 400 caschi blu olandesi.

Nonostante la presenza dell'Onu, le forze serbo-bosniache hanno separato 8000 uomini e ragazzi bosniaci musulmani tra i 12 e i 77 anni dalle donne dai bambini, trucidando i primi e deportando i secondi al di fuori della città. La scusa ufficiale che è stata rilasciata è stata che gli uomini dovevano essere interrogati sulla situazione della guerra in città, ma in realtà questi sono stati solamente massacrati, torturati e poi sepolti in fosse comuni.

20 mila sono state le vittime di deportazione: donne, bambini sotto i 12 anni e anziani sopra i 77. Molti sono stati gli stupri denunciati dalle ragazze coinvolte nei confronti dei soldati dell'Esercito della Bosnia e della Serbia.

La condanna di genocidio dalla Corte Internazionale di Giustizia

Il Tribunale Penale Internazionale per l'ex Jugoslavia e la Corte Internazionale di Giustizia hanno stabilito che i fatti avvenuti a Srebrenica hanno costituito un vero e proprio genocidio. Questo perché è stata una campagna deliberata per eliminare una parte della popolazione bosniaca musulmana, solo in quanto tale, e perché ci sono state uccisioni di massa, deportazioni forzate e atti di terrore, tutti motivati dall'odio etnico.

Le corti hanno ritenuto come responsabili del massacro di Srebrenica principalmente il comandante militare delle forze serbo-bosniache, Ratko Mladic, condannato all'ergastolo per genocidio, crimini contro l'umanità e crimini di guerra, e Radovan Karadzic, leader politico dei serbo-bosniaci, condannato all'ergastolo. Altri ufficiali serbo-bosniaci sono stati poi processati negli anni e condannati per reati come genocidio e complicità.

L'empasse occidentale, dell'Onu e della Nato

Le Nazioni Unite e i Paesi occidentali sono stati criticati per non aver impedito il massacro, nonostante le promesse di protezione alla popolazione di Srebrenica.

A metà anni '90 la Nato era presente nei Balcani per far rispettare le zone protette create dall'Onu in Bosnia, tra cui figurava anche Srebrenica, sotto la difesa dei caschi blu olandesi dal 1993. La Nato aveva quindi l'incarico di fornire supporti aereo all'Onu su richiesta dei caschi blu, in caso di attacchi.

Con la presa di Srebrenica da parte delle truppe serbo-bosniache, il contingente olandese è stato sopraffatto. Questo ha chiesto più volte aiuto alla Nato per fermare gli attacchi attraverso interventi aerei. Le risposte dell'Alleanza Atlantica, però, sono arrivate in ritardo e si sono limitate solo a piccoli raid, che non fermarono l'offensiva. Gli attacchi Nato su obiettivi serbi iniziarono solo dopo che la città era già caduta e le truppe serbe avevano iniziato le deportazioni e le esecuzioni di massa.

La Nato, che aveva i mezzi militari per colpire più duramente e rapidamente, è stata accusata di non aver agito in modo risolutivo, per ragioni burocratiche e politiche (necessità di approvazione ONU, timore di ritorsioni sui caschi blu presi in ostaggio). Le responsabilità politiche e morali sono condivise tra l’ONU, la NATO e le potenze occidentali che non vollero rischiare un conflitto più ampio.

Questo episodio è stato determinante per l'espansionismo verso est della Nato, che aveva già messo le sue basi con la caduta dell'Unione Sovietica del 1991.

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