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Banca di Asti, quota Fondazione al 31,8% e capital ratio 17,3%, Demartini frena la vendita a Unicredit, Banco Bpm e Credem

CariAsti con circa 2.000 dipendenti e roe medio 6,5% tra 2011 e 2024; il ceo propone un socio locale per ridurre la partecipazione e rispettare il protocollo Acri-Mef

17 Dicembre 2025

Banca di Asti, quota Fondazione al 31,8% e capital ratio 17,3%, Demartini frena la vendita a Unicredit, Banco Bpm e Credem

Carlo Demartini, CEO

Carlo Demartini, amministratore delegato della Cassa di Risparmio di Asti, ha espresso la propria contrarietà all’ipotesi di vendita dell’istituto a gruppi bancari di maggiori dimensioni come Unicredit, Banco Bpm o Credem, indicando come alternativa l’ingresso di un socio locale. La posizione del ceo si inserisce nel confronto in corso con la Fondazione Cassa di Risparmio di Asti, che detiene il 31,8% del capitale ed è chiamata a ridurre la propria partecipazione in base agli impegni previsti dal protocollo Acri-Mef.

Demartini ha ricordato il proprio percorso professionale interno alla banca, iniziato circa 30 anni fa, e ha ribadito la conoscenza diretta dell’istituto e delle sue dinamiche operative. L’amministratore delegato ha sottolineato come l’obiettivo sia mantenere la banca sul territorio, evidenziando il ruolo occupazionale e creditizio svolto a livello locale. CariAsti conta circa 2.000 dipendenti ed è il principale datore di lavoro privato della provincia di Asti.

Nel dibattito con la Fondazione emergono posizioni differenti anche sul tema dei dividendi. Secondo Demartini, la distribuzione agli azionisti è cresciuta nel tempo, con un incremento pari al 30% nel 2024, ed è prevista in aumento anche nel 2025. In passato, una parte degli utili era stata destinata a rafforzare il patrimonio della banca, con l’obiettivo di migliorarne la solidità finanziaria.

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I dati patrimoniali indicano un total capital ratio pari al 17,3% nel 2024, a fronte di un requisito minimo regolamentare del 12,7%. Sul fronte della redditività, il return on equity nel 2024 è rimasto sotto il 5%, un livello inferiore rispetto ai principali gruppi bancari. Tuttavia, considerando il periodo compreso tra il 2011 e il 2024, il roe medio si attesta al 6,5%, superiore al 4,5% registrato mediamente dal sistema bancario italiano nello stesso arco temporale.

Dal punto di vista dimensionale, la banca ha registrato una crescita pari a cinque volte dal 2000 a oggi e non ha mai chiuso un bilancio in perdita, nemmeno negli anni caratterizzati da crisi diffuse del settore. Demartini ha inoltre richiamato il patto di sindacato approvato un anno fa, nel quale la strategia di prossimità territoriale veniva condivisa anche dalla Fondazione.

Secondo l’amministratore delegato, la riduzione della quota della Fondazione potrebbe avvenire senza ricorrere alla cessione a un grande gruppo bancario. La proposta avanzata consiste nell’alleggerimento della partecipazione attraverso l’ingresso di un investitore locale. La Fondazione, secondo quanto emerso, dispone di un orizzonte temporale di almeno tre anni per procedere alla dismissione parziale della quota, lasciando aperto il confronto sulle modalità operative da adottare.

Il protocollo Acri-Mef è un accordo firmato nel 2015 tra l’associazione delle Fondazioni di origine bancaria (Acri) e il Ministero dell’Economia e delle Finanze. Nasce con l’obiettivo di rendere più stabile il sistema e di ridurre i rischi legati a una presenza troppo forte delle Fondazioni all’interno delle banche da cui hanno avuto origine.

In passato molte Fondazioni detenevano quote molto elevate, spesso di controllo, in un solo istituto bancario. Questo significava che gran parte del loro patrimonio dipendeva dall’andamento di una singola banca. Quando alcune di queste banche hanno attraversato fasi di difficoltà, le conseguenze si sono riversate direttamente sulle Fondazioni, limitando la loro capacità di sostenere progetti sociali, culturali e territoriali.

Il protocollo interviene proprio su questo punto. Chiede alle Fondazioni di ridurre gradualmente le partecipazioni troppo concentrate e di diversificare i propri investimenti, in modo da non essere esposte in maniera eccessiva a un unico soggetto. L’idea di fondo è separare in modo più netto il ruolo della Fondazione, che ha finalità di interesse generale, da quello della banca, che opera sul mercato.

È importante chiarire che il protocollo non impone la vendita immediata delle banche né obbliga a cessioni a grandi gruppi. Prevede invece un percorso nel tempo, lasciando alle Fondazioni la possibilità di scegliere come ridurre la propria quota: attraverso vendite graduali, l’ingresso di nuovi soci o altre soluzioni compatibili con il mercato.

Nel caso di una Fondazione che detiene una quota significativa, come il 31,8% di una banca, il protocollo significa semplicemente che quella partecipazione deve essere ridimensionata entro un certo orizzonte temporale. La finalità non è smantellare le banche locali, ma rendere più solido il patrimonio delle Fondazioni e, di conseguenza, più stabile il sistema nel suo complesso.

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