30 Agosto 2025
L’indagine sull’omicidio dell’architetta milanese Gabriella Bisi non sarà riaperta. La Procura di Genova non ritiene la lettera inviata al Corriere della Sera circa un mese fa, e acquisita dall’Unità delitti insoluti dello Sco (il Servizio centrale operativo della polizia), un elemento sufficiente per poter mettere mano a un delitto accaduto quasi quarant’anni fa. Se l’ex fidanzato - tale ha detto di essere nella missiva girata successivamente dallo Sco alla squadra mobile genovese - della donna trovata senza vita nella collina delle Grazie, in località Tigullio Rocks, tra Zoagli e Chiavari, il 13 agosto del 1987, vuole che il nome del killer salti fuori deve presentarsi davanti al procuratore capo Nicola Piacente. E dire tutto quello che sa. Stavolta facendosi identificare, però.
Dopo aver ricevuto la lettera dal Servizio centrale operativo della polizia, in attesa della decisione definitiva del procuratore, gli agenti della mobile avevano analizzato il contenuto del documento. Scandagliando le informazioni fornite dalla fonte anonima. «Nulla di così diverso da quanto era emerso nell’indagine condotta dall’allora sostituto procuratore Filippo Gebbia», spiega una fonte investigativa. L’inchiesta negli anni Novanta era terminata con un nulla di fatto, perché l’unico sospettato - un imprenditore che in quel periodo aveva una relazione extraconiugale con Gabriella Bisi - aveva un alibi di ferro. Una festa insieme ad amici e la moglie. Alibi che chi ha scritto la lettera senza firmarla ha mette in dubbio. O meglio, suggerisce l’ipotesi che l’amante - furioso per l’imminente rottura - possa aver chiesto aiuto a un amico (o un killer di professione), che poi ha commesso materialmente l’omicidio.
Ma è proprio di fronte a questa illazione che la Procura di Genova ha deciso di fermarsi. Perché l’arma del delitto - gli slip della vittima stretti al collo dell’architetta, con l’ausilio di alcuni rami di robinia a mo’ di garrota, non fanno pensare al gesto di un assassino che dietro compenso svolge un compito che gli è stato affidato. «Sembra più il modus operandi di qualcuno che conosceva molto bene la donna, e che in questo modo abbia voluto punirla per qualcosa che aveva fatto o detto», sottolineano gli inquirenti.
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