Quella del 2025 sarà certamente ricordata come l’estate del botulino. Un piccolo grande disastro per l’Italia che si fa vanto in tutto il mondo della sua cultura alimentare, business che, in base al freschissimo report Deloitte foodservice market monitor 2025, nel solo 2024 ha raggiunto per la Penisola un valore di 251 miliardi di euro.
Eppure, proprio nel periodo in cui i turisti stranieri arrivano in massa e gli italiani si spostano verso mare, montagna, borghi e città d’arte, ecco che i cibi conservati male hanno acceso la spia su un mondo, quello del cosiddetto street food, tutto da ripensare.
Due morti in Sardegna, per aver consumato in un chiosco delle pietanze a base di guacamole contaminato da botulino alla Fiesta Latina, a fine luglio a Monserrato, città metropolitana di Cagliari.
E altri due morti in Calabria, oltre a 17 ricoverati e 28 pazienti curati (per 7 è stato necessario il siero di antitossina botulinica), tutto per colpa di cibi contaminati preparati da un ambulante e mangiati a Diamante (Cosenza) lo scorso 6 agosto.
D’altronde è proprio l’estate il periodo dell’anno più pericoloso per il batterio killer del botulino: quando, girovagando, ci si abbandona agli sfizi dello street food, o mentre, visitando amici e parenti, si viene sommersi da conserve casalinghe fatte col cuore ma mal preparate. I pericoli maggiori vengono soprattutto da verdure sott’olio, pesce e carne conservati senza sterilizzazione adeguata, che possono trasformarsi in fonti letali della tossina. Una buona regola, anche se lo scandalo del vino al metanolo negli anni 80 (il famoso “vino del contadino”) in Italia non sembra avere insegnato molto, sarebbe quella di tenersi il più possibile alla larga da prodotti artigianali, fatti in casa, non controllati e preparati, di solito, senza rispettare le basilari regole di sicurezza alimentare, ma messi a punto secondo i dettami della nonna, della zia, o della tradizione del posto. Poi, certo, la scarsa cura non è prerogativa delle casalinghe, perché, come dimostra la recente operazione dei Nas nel bolognese, anche le aziende peccano: sequestrati 674 chili di conserve con presenza di ragnatele, polvere, sporcizia, guano, con una inadeguatezza del processo di pastorizzazione e un rischio di sviluppo della tossina botulinica.
Tutto ciò accade, come detto, proprio mentre la cucina italiana rimane un’eccellenza a livello globale, con un valore complessivo di 251 miliardi di euro nel mondo e una crescita del +4,5% su base annua. La cucina tricolore, sottolinea la nuova edizione del report Deloitte foodservice market monitor 2025,rappresenta il 19% del mercato globale dei ristoranti con servizio al tavolo, ed è particolarmente rilevante negli Stati Uniti e in Cina, che insieme coprono oltre il 65% dei consumi globali per la cucina italiana.
L’Italia, tra i principali mercati globali del foodservice, si classifica al sesto posto per valore complessivo, al quarto per i Full service restaurant (i ristoranti con servizio al tavolo) e al quinto per Quick service restaurant (quelli caratterizzati da servizio più rapido con ritiro al banco). Solo nella Penisola il comparto del foodservice ha raggiunto gli 83 miliardi di euro nel 2024 (+2% sul 2023), superando stabilmente i livelli pre-pandemici.
Quanto al mercato della ristorazione globale, commenta Tommaso Nastasi, Partner e value creation service leader di Deloitte Italia, “ha raggiunto un nuovo punto di equilibrio dopo le conseguenze imposte dalla pandemia, toccando un valore di 2.916 miliardi di euro nel 2024, con una crescita moderata ma costante e dinamiche che riflettono un contesto economico in evoluzione. Il ritmo di crescita globale si è attestato al +4,2% nel biennio 2023-2024, il doppio rispetto al tasso medio del +2,1% registrato tra il 2016 e il 2019. In questo contesto, il Nord America ha guidato la ripresa grazie alla predominanza dei modelli Quick service restaurant, seguito dall’Europa, mentre l’Asia-Pacifico si conferma l’area con le migliori prospettive di crescita per i prossimi anni. A livello globale le preferenze dei consumatori stanno evolvendo: il 65% è disposto a pagare di più per prodotti sostenibili e il 76% riduce il consumo di carne per motivi ambientali. Il ristorante è percepito sempre più come uno spazio di socializzazione, soprattutto tra i più giovani. La Gen Z, in particolare, visita ristoranti e takeout in media 3-4 volte al mese, con una spesa in crescita di +0,7% nel 2025 rispetto all’anno precedente”.
Di Claudio Plazzotta