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I giovani vanno all’estero perché pensano sia bello, le politiche di marketing territoriale spagnole funzionano, quelle italiane no

Il processo di invecchiamento della popolazione, nell’ultimo decennio, è stato accentuato anche dalla fuga dei giovani italiani all’estero. 

14 Giugno 2025

I giovani vanno all’estero perché pensano sia bello, le politiche di marketing territoriale spagnole funzionano, quelle italiane no
Pochi giorni fa, sul Giornale d’Italia, ci siamo occupati della scomparsa della famiglia tradizionale, del fatto che appena il 23% dei nuclei famigliari sparsi sulla Penisola abbia bambini, e che per il resto le case siano abitate solo da adulti o anziani. 
Finite le scuole, in queste settimane i pochi giovani che ancora popolano le città e i paesi italiani stanno riflettendo sul loro futuro: chi deve scegliere se fare un anno (in genere il quarto) di scuole superiori all’estero; chi, dopo le scuole superiori, sta pensando invece di andare a studiare in qualche università spagnola, inglese o americana; alcuni che, post laurea, si preparano a un master all’estero; e, ancora, qualche ragazzo che, terminato il suo percorso di studi, preferisce provare a cercare lavoro oltreconfine. Perché il processo di invecchiamento della popolazione, nell’ultimo decennio, è stato accentuato anche dalla fuga dei giovani italiani all’estero. 
Tra il 2011 e il 2023, certifica l’Istat, circa 550 mila giovani italiani nella fascia di età 18-34 anni si sono trasferiti in paesi stranieri. Con un tasso che cresce, anno dopo anno. Tra il 2013 e il 2022, in dieci anni, l’Italia ha avuto circa un milione di emigrati in totale, di cui 352 mila tra i 25-34 anni, e di questi 132 mila con la laurea come titolo di studio. Il 12,8% va verso la Germania, il 12,1% verso la Spagna, quasi il 12% verso il Regno Unito. Un capitale umano italiano valorizzato in circa 134 miliardi di euro che esce dai nostri confini e che va ad arricchire altri paesi. Peraltro, questi sono dati sottostimati, poiché spesso chi emigra non cancella la propria residenza in Italia e quindi sfugge alle statistiche. Secondo alcune ricostruzioni, i dati potrebbero essere addirittura il doppio rispetto alle cifre ufficiali. Ma la tendenza più drammatica è il fatto che l’Italia, in Europa, sia all’ultimo posto per attrattività: per ogni giovane straniero che arriva in Italia, ci sono otto giovani italiani che vanno all’estero. E tra i giovani che l’Italia accoglie, solo il 6% è europeo. Dato che invece sale al 34% in Svizzera e al 32% in Spagna. Ecco, la Spagna. Perché un ragazzo italiano, nel 2025, può trovare ragionevole, interessante, appagante trasferirsi in Spagna? Un tempo la Spagna era visto dall'Italia come un paese arretrato, senza alcuna attrattività. 
Secondo i dati del ministero degli affari esteri, invece, attualmente in Spagna risiedono circa 325 mila persone con un passaporto italiano. Erano solo 24 mila nel 2000. Cosa è successo? Molte indagini condotte su questo universo di expat indicano che la Spagna, dai giovani, viene percepita come meta ideale per “fare una esperienza”, “arricchire il proprio cv”, “fare l’Erasmus”, “studiare in università di qualità”, “stile di vita”, “crescita del paese”, “poche difficoltà di inserimento nella società”, “paese socialmente e culturalmente più aperto”. 
C’è, insomma, uno storytelling vincente che invece l’Italia non riesce a implementare. Anche perché, come certifica una recente ricerca della Fondazione studi dei consulenti del lavoro, ci sono alcuni luoghi comuni da sfatare: solo il 25% dei giovani italiani che va all’estero lo fa per cercare lavoro; il 64,8%, poi, si lamenta per l’elevato costo della vita rispetto all’Italia; e appena il 29,3% è soddisfatto della retribuzione percepita in rapporto alle spese, al costo della vita. Cadono quindi i miti di avanzamenti di carriera più semplici all’estero rispetto all’Italia, di retribuzioni migliori (certo, sono superiori ma in relazione a un costo della vita proporzionalmente più alto). I giovani vanno all’estero, e in Spagna in particolare, semplicemente perché pensano sia bello. Le politiche di marketing territoriale messe in campo da Madrid, Barcellona, l’Andalusia, insomma, funzionano. Quelle italiane, invece, no. Perché al netto di tutte le magagne nostrane, è quasi inconcepibile che un ragazzo europeo trovi più interessante l’Austria, il Belgio o il Portogallo o la Svezia rispetto alla Toscana, l’Emilia-Romagna o il Veneto. 
di Claudio Plazzotta

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