11 Settembre 2023
foto @sito tribunale di Lecce
E’ morto a soli 44 anni a causa di un cancro ai polmoni, senza mai aver toccato una sigaretta in vita sua, al contrario però, durante l’orario di lavoro, ha respirato il fumo passivo all’interno del corridoio del carcere in cui prestava servizio come agente di polizia penitenziaria.
Per questa morte così prematura, il tribunale civile di Lecce nella persona del giudice Silvia Rosato, ha condannato i responsabili politici e amministrativi del Ministero della Giustizia, come reso noto dal Sappe, Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria.
“Abbiamo scritto, invocato, pregato i Capi del DAP, Ministri della Giustizia e della Salute, e perfino il Capo dello Stato – fanno sapere dal sindacato - Abbiamo chiesto aiuto ai Garanti dei detenuti, ai radicali, ai professionisti delle carceri affinché si intervenisse per fermare questo avvelenamento giornaliero per decine di migliaia di persone, che nel miglior dei casi portava a patologie connesse con il fumo passivo (malattie cardiache, respiratorie, ecc.ecc.) nel peggior caso a tumori con la morte dei lavoratori. Eppure il diritto alla salute sancito dall’articolo 32 della nostra bella Costituzione (la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività,) non vale per la polizia penitenziaria poiché costretta dalla legge a lavorare nell’unico ambiente di lavoro in Italia ove ai detenuti è consentito di acquistare e fumare liberamente, e quindi avvelenare chi sta vicino con il fumo passivo così come riconosciuto da tutti gli studi scientifici”.
Il sindacato Sappe qualche mese fa, scrisse anche al Ministro Nordio il quale, ad una interpellanza parlamentare sulla materia commentava: “Infine quanto alla doglianza circa il fumo passivo, va osservato che all’interno dei penitenziari il consumo di tabacco rappresenta una delle modalità ‘compensative’ cui la popolazione detenuta reclusa ricorre a fronte del disagio derivante dallo stato di privazione materiale e psicologica connesso alla condizione detentiva; ragion per cui, un intervento drasticamente riduttivo della possibilità di fumare potrebbe avere effetti destabilizzanti”.
Il SAPPE ritiene che con queste parole il ministro Nordio “ha affossato lo stato di diritto e la Costituzione Italiana condannando decine di migliaia di persone alla malattia, oppure alla morte”.
Come il ministro Nordio però, non la pensa il tribunale di Lecce che con sentenza n.2407/2023 pubblicata il 5 settembre “ha posto fine a questa ingiustizia – dice il Sappe - che si perpetrava da anni, riconoscendo le gravi colpe dei responsabili amministrativi e politici del ministero della giustizia, che pur sapendo cosa stava avvenendo nelle carceri, nonché dei pericoli a cui andavano incontro i poliziotti nulla ha fatto negli anni, per mitigare il pericolo del fumo passivo che riempiva i corridoi delle sezioni detentivi e delle stanze dei detenuti, anche perché il ricambio dell’aria era quasi inesistente.
Si tratta della prima sentenza di questo tipo in Italia, con un procedimento durato 12 anni, seguito dagli avvocati Nicola e Sandro Putignano e Angela Contento i quali hanno anche offerto la disponibilità economica per affrontare il procedimento (perizie e spese varie).
“Siamo ben coscienti – dice il Sappe - che la sentenza non elimina le gravi problematiche connesse al fumo passivo poiché le strutture penitenziarie sono quelle che sono, come pure sappiamo che non si può togliere la possibilità ai detenuti di fumare del tutto, ma quello che chiediamo con urgenza è: installare nelle sezioni detentive il maggior numero di aeratori possibile; Riconoscere tutte le patologie contratte dai lavoratori connesse con il fumo passivo dipendenti da causa di servizio con categoria; dotare i poliziotti di presidi sanitari (mascherine) per una maggiore protezione dal fumo; prevedere un’indennità specifica per i poliziotti che lavorano a contatto con la popolazione detenuta, per compensare il rischio sanitario a cui vanno incontro”.
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