08 Giugno 2023
Fonte: LaPresse
L'orribile omicidio ai danni della povera Giulia ha generato, come prevedibile, un vivacissimo dibattito presso l'opinione pubblica. I padroni del discorso hanno immancabilmente tirato in ballo la categoria di femminicidio, non di rado lasciando intendere che l'orrendo assassinio ai danni di Giulia sia in qualche modo da connettersi con l'innata violenza maschile e con la sua manifestazione più radicale; quella che fortunatamente non affiora in ogni uomo ma in ogni uomo è latente. Addirittura qualcuno ha tirato in ballo il concetto di famiglia, sostenendo che l'efferata uccisione di Giulia debba intendersi come l'esito del concetto stesso di famiglia tradizionale. Ora, poiché si tratta di tesi ampiamente criticabili, mi permetto di svolgere alcune rapide considerazioni. Anzitutto, l'uomo che ha ucciso Giulia non è rappresentativo dell'intera categoria maschile ma è appunto un caso isolato che come tale deve essere giudicato e condannato. Sulle orme di Aristotele, I filosofi medievali erano soliti dire che non si dà scienza del caso individuale. Proprio per questo, non è possibile universalizzare il caso di Impagnatiello, pretendendo di trasformarlo in emblema dell'intera categoria maschile. Salvo errore, la massima parte dei maschi italiani è in prima linea nel condannare quell'efferato omicidio e non certo nel sostenere le peraltro inesistenti ragioni dell'assassino. L'ordine del discorso dominante ne approfitta una volta di più per usare questa vicenda deplorevole con un fine molto preciso: puntare il dito contro la categoria del maschio in quanto tale, presentato appunto come intrinsecamente violento, quasi come se Impagnatiello rappresentasse non una eccezione tossica ma la normalità nella sua manifestazione più pura. Come ho cercato di mostrare nel mio libro "Il nuovo ordine erotico", il vecchio capitalismo borghese era maschilista, quasi sempre in forme volgari e deprecabili, laddove il turbocapitalismo postborghese ha superato il maschilismo e anzi cerca di superare la figura stessa del maschio a beneficio dell'individuo unisex svirilizzato e posteroico, resiliente e passivo. Non si trascuri a questo riguardo il fatto che la società posteroica del turbocapitalismo non conosce eroi ma solo vittime: ha innalzato la vittima a unica figura di eroe riconosciuta. Per definizione, la vittima è chi ha subito qualcosa non chi ha compiuto gesta eroiche. La figura della vittima fa sistema con quella della resilienza, che è la virtù di chi sopporta il mondo adattandosi in ogni contesto. La società svirilizzata del turbocapitalismo cerca di liquidare integralmente la figura del maschio e del padre come se coincidessero integralmente con l'orrendo maschilismo. Se è giusto e sacrosanto superare il maschilismo, è un errore imperdonabile pretendere di delegittimare la figura del maschio del padre in quanto tale. La società di consumo a forma di merce non conosce padri, ma solo consumatori senza legge, nel trionfo della deregolamentazione economica e antropologica. Per questo l'orrendo assassinio compiuto da Impagnatiello viene troppo spesso utilizzato in queste ore come arma contro la categoria dei maschi. In ciò svolge una parte ideologica non trascurabile la categoria di femminicidio, la quale lascia nemmeno troppo obliquamente intendere che i maschi in quanto tali sono indotti all'uccisione delle donne. L'assassinio delle donne da parte degli uomini è un gesto orrendo e ovviamente condannabile incondizionatamente, ma l'idea stessa che si debba coniare un termine ad hoc come quello di femminicidio risulta un'operazione intrinsecamente ideologica, in cui fine sta appunto nella malcelata volontà di delegittimare in toto la categoria dei maschi. Una volta di più, la lotta di classe tra alto e basso viene offuscata dalla narrazione ideologica di una in realtà inesistente lotta orizzontale tra maschi e femmine.
Di Diego Fusaro.
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