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Marco Durante, LaPresse: "Quando si cade la cosa più importante è rialzarsi. Il futuro prevede la vendita o la quotazione dell'azienda, forse in USA, ma ora è tempo di crescere" - ESCLUSIVA

Il fondatore di LaPresse: "Il futuro è il video, conosco bene il mondo delle multinazionali televisive. LaPresse continuerà a crescere, perché si è aperto un mercato: tra un paio di anni sarà il tempo della decisione". L'intervista a Il Giornale d'Italia

05 Settembre 2022

Marco Durante, torinese, classe 1962, è il fondatore e presidente dell’agenzia di stampa multimedia internazionale LaPresse, con sede a Milano e presente anche negli Stati Uniti e sui principali mercati europei.

Oggi è tra le prime agenzie di stampa multimedia italiana a guida imprenditoriale e vanta una partnership strategica con la Associated Press.

LaPresse sta proseguendo il suo percorso di sviluppo internazionale, che ha portato all’apertura e al potenziamento di 15 sedi all’estero, raggiungendo un fatturato globale di circa 65 milioni.

Cos’è per lei LaPresse oggi e qual è la posizione a livello globale?

È un discorso nato a fine 2019, dove ho deciso che, per motivi italiani che viviamo tutti giorni e non c’era ancora la pandemia, dopo varie verifiche, era impossibile crescere più del 93% nel mercato. O si faceva un passo indietro e ci si ridimensionava o si guardava oltre. Ma guardare oltre significa guardare quello che fanno gli altri, ovvero guardare l’Italia dall’estero. Il mio punto fondamentale è di far crescere l’azienda con una mentalità estera.

Quel 19 novembre io tirai fuori l’idea di espanderci all’estero, ovvero, portare il business (foto, video, testi e distribuzione) che avevamo in Italia anche all’estero. Col fatto che eravamo anche dentro Associated Press, abbiamo pensato di fare la stessa cosa all’estero e abbiamo iniziato con i paesi con la maggior garanzia economica. Abbiamo sedi a Washington, New York, Miami e Los Angeles, abbiamo affittato degli uffici e da questo abbiamo costruito la struttura americana.

Abbiamo rapporti con la Casa Bianca e lavorato per l’ambasciata italiana, abbiamo fatto per il console Silvia Chiave di Los Angeles tutti gli eventi italo americani. Si è innamorata di noi perché abbiamo diffuso alle testate nazionali italiane foto, video e testi in merito alla maratona di Los Angeles degli italo americani. Non aveva mai avuto tutto questo, perché nessuna agenzia in Italia e nel mondo ha la possibilità di avere foto, video e testi e diffonderli in pochi secondi nel mondo.

Nasce la pandemia, tutte le aziende chiudono o tirano i remi in barca. Ma un’agenzia di stampa non può chiudere in pandemia, perché deve dare le informazioni, come gestirlo? Il capo del personale adotta delle regole ferree e ogni 4 giorni abbiamo fatto il tampone, per tutti i dipendenti delle 11 sedi in Italia. Non ci si poteva spostare, ma volevamo far partire comunque le 15 nuove sedi. Abbiamo avuto un grandissimo aiuto da Deloitte, era il nostro revisore dei conti. Al vertice spiegai che, nel periodo di pandemia nella quale tasse e spese erano bloccate i soldi si accantonavano, invece di tenere quei soldi nelle banche li abbiamo investiti nelle 15 sedi. Deloitte aveva vari uffici in quei paesi e tramite loro li abbiamo affittati, legalmente e fiscalmente abbiamo fatto i contratti e assunto le persone in video call.

Il primo settembre iniziamo in Spagna già con dei contratti fatti da chi c’era prima di noi, ovvero AP. L’azienda fece un passo indietro, ci lascia tutti i contratti che aveva e rafforziamo la struttura unendo il personale di AP con LaPresse. Mandiamo dei giornalisti professionisti (articolo 1) come inviati, prendiamo il personale sul posto. Tra l’altro in Spagna il datore di lavoro paga meno tasse rispetto all’Italia. Noi stiamo duplicando il lavoro che facciamo in Italia, lo portiamo in Spagna, stessa cosa abbiamo fatto in Marocco e negli USA.

Con la Spagna speriamo di essere a regime in primavera, il prossimo paese sarà la Germania, l’Olanda, l’Inghilterra. Sceglieremo tutto il perimetro Emea (Europe e Middle East), sarà tutto a carico di LaPresse. L’espansione di LaPresse è quel 93% italiano, che sarebbe diventato 85, 80 o 70%, migliorerà perché tutte le società sono detenute al 100% da LaPresse. Ho pensato che se siamo chiusi dentro questo box, dobbiamo uscire da questo o rimaniamo chiusi dentro. Ho trovato la via d’uscita per far crescere ulteriormente quest’azienda. Ho mandato giornalisti italiani a fare esperienza all’estero, quindi in America, Spagna, Germania, Inghilterra, Hong Kong. In più, abbiamo una forza d’urto di telecamere e fotografi di AP, cos’ in 4 secondi arrivi a migliaia di broadcaster e giornali nel mondo.

Il mio talento è arrivare un secondo prima degli altri, vuol dire aver pensato e studiato prima degli altri. Ho la fortuna che la notte studio tanto, qualsiasi cosa mi arriva io lo studio, analizzo e cerco di capirlo. Ho una cultura larga che può aiutare me a comprendere se è giusto o sbagliato. Arrivare un secondo prima degli altri è come vincere.

È molto facile cadere, bisogna farlo. Si cade perché si sbaglia un esame, si viene delusi dalla fidanzata, viene a mancare un caro. La cosa più difficile è tirarsi su, non tutti riescono a farlo. Ogni volta che mi tiro su, sono più forte di prima. È molto importante cadere, ma è ancora più importante risalire.

Il mio 93% è caduto, devo trovare il modo per tirarmi su. Oggi tutti mi elogiano, ma non è una cosa successa ieri. A novembre del 2019 l’ho proposta al board, quindi l’avevo studiato tutta l’estate, per mesi. Non è una cosa improvvisata, ma quando decido una cosa la porto avanti.

Per me è fondamentale che lavori fuori dagli schemi, perché negli schemi si lavora come gli altri, come un duplicato. Ho sempre lavorato, in tutti i miei campi, fuori dagli schemi.

Ho iniziato scaricando le cassette al mercato a 16 anni, mi davano 500 lire, un cappuccino e una brioche. Poi ho avuto la fortuna di andare a studiare all’estero, a New York ho conosciuto l’avvocato Agnelli. La mia vita è strana e varia, mi ha portato a conoscere molta gente. Più gente si conosce, più si è a proprio agio con chiunque: se un giorno si parla con Gheddafi, Sarkozy, amministratori delegati di aziende, si è a proprio agio con tutti loro.

Nella mia esperienza ho vissuto momenti senza soldi, in cui a fatica si arriva alla fine del mese. So mettermi nei panni dei lavoratori perché li ho vissuti prima io. Ho avuto i miei alti e bassi, alla fine mi sono reso conto di aver detto le cose giuste. Oggi per fare quello che ho fatto io ci vogliono 4 anni. Il salto è stato veramente alto, noi abbiamo costruito 15 sedi in 6 mesi.

Il 28 dicembre 2020 mi sono preso un bruttissimo covid, sono stato tubato in casa. In quel periodo sopra i 50 anni era difficile avere la priorità in ospedale. E poi, nessun parente poteva venirti a trovare. L’azienda è andata avanti lo stesso, senza il capo, perché ai dipendenti era stato dato una mansione ben precisa e non abbiamo mollato un secondo. Nessuno si è accorto che Marco Durante è mancato per tre mesi.

Anche se mi costerebbe di meno andare fuori dall’Italia, oggi la manodopera costa di più, ma resto in Italia perché il Pil è importante. Sono italiano, anche se ho vissuto la metà dei miei anni all’estero e conosco meglio il mercato internazionale dell’editoria. In ogni paese in cui andiamo creiamo un sito, la mia cultura è poliglotta.

Oggi ho uno sbocco per i prossimi 10 anni, fino al 19 novembre 2019 non c’era. Stiamo vivendo tre anni complicati, noi siamo andati avanti lo stesso. Anzi, in questi due anni abbiamo assunto 170 persone e nel mondo 280. Sono numeri che fanno rabbrividire, eppure entravamo in aree in cui AP faceva 4 passi indietro ma lasciava già i contratti.

Nel futuro dove vorrebbe arrivare un secondo prima degli altri?

Io ho 60 anni, non 40. Non posso fare progetti a lunga gittata, per una questione leale verso i miei figli. Ma ho la fortuna di avere una figlia di 26 anni e due di 8 e 7 anni. Io per loro devo continuare, questo è il primo punto.

Il secondo punto è che sono un ambizioso, non mi fermo e non mi spavento, cerco di risolvere la paura degli altri. Non ho paura di morire: ho avuto un tumore nel 2004, ho fatto chemio, radioterapia e operazioni. Ma ho avuto più paura durante il covid. Con il covid ho veramente avuto paura, ho pianto con quel casco.

Vorrei arrivare al vertice massimo, oggi sono presidente della sede LaPresse in America, se volessi scegliere oggi direi un giorno vendere tutto non sono capace di stare fermo. Mi piacerebbe diventare amministratore delegato di una grande multinazionale della televisione, perché ho le capacità conoscitive del contenuto. Ho venduto ciò che ho costruito e lo do sul piatto d’oro, che sia una cosa che continui nei secoli e vada avanti. So che non posso passarlo di mano in mano, perché non è una cosa che posso passare ai miei figli, perché sono troppo giovani. Ma non è una cosa negativa, all’80% la generazione che passa ai figli, sono figli non all’altezza di gestire quello che il padre ha fatto e costruito con la sua mentalità. Ognuno deve trovare la propria strada con la sua libertà, il papà non deve imporre, ma metterli su un binario e oliare i binari e intervenire quando alzano la mano perché hanno fiducia in te.

Nel futuro Marco Durante non può portare avanti LP, perché non è eterno. Bisogna essere onesti con sé stessi, un conto è avere la mentalità e l’intelligenza di un quarantenne, a 60 è sicuramente più scaltrezza nel dire certe cose, ma bisogna essere logici e leali con sé stessi e dire che non si può crescere in eterno e governare con la velocità mentale che ha un subalterno di 50anni. Non si può passare LP a nessuno, la strada è una quotazione in borsa un giorno o la vendita dell’azienda. Poi, non essendo capace di stare fermo, mi piacerebbe andare a fare il presidente o CEO di una multinazionale importante sul mondo della televisione, perché conosco molto bene quel mondo. Non andrei a fare un giornale, il futuro è il video. Tutto è fotografia, immagini in movimento o statiche. Il testuale non è più come una volta, per cui si torna a casa e si scrive l’articolo. Oggi si scrive direttamente al cellulare, perché la velocità è più importante di qualsiasi cosa. Il mondo va più veloce di prima.

Non so quale sarà il destino di quest’azienda, se sarà venduta o data, ma sono certo che continuerà a crescere, perché si è aperto un mercato. Dipenderà da quanto saremo bravi nel tempo. Una cosa importante l’ho fatta, sono riuscito ad aprire questo cartone in cui ero chiuso dentro e mi sono dato tre anni per prendere tutta l’Europa.

Vorrei avere dei concorrenti più forti, perché la concorrenza migliora la qualità e il prezzo. La concorrenza è fondamentale, ho bisogno del paragone.

Quindi il futuro prevede la vendita o la quotazione?

Non credo che sia possibile una quotazione come prima opzione perché non lo farei sul mercato italiano, ma su quello americano dove ci avvicinavamo prima della pandemia. Una strada l’abbiamo aperta facendo partire una società Lapresse usa inc., controllata dalla holding italiana. 

Oggi un azienda come la nostra non potrebbe avere un compratore italiano, eventualmente una quotazione. Insomma due strade diverse, ma che arrivano allo stesso obbiettivo.

Tuttavia ora per LaPresse non è il tempo per queste strade, ma quello del lavoro della produzione dei risultati della crescita del gruppo, degli utili veri. Voglio donne e uomini ambiziosi che abbiamo motivazioni, gente giovane e piena di vita, con la voglia di crescere in un'azienda sana. Prima della scelta finale, chissà quante volte ci rialzeremo, bisogna fare gruppo in tutte le parti del mondo dove abbiamo una nostra sede, aumentare il fatturato e sopratutto i margini in ogni paese, e non pensare ne a vendere ne a quotarsi.

Sono parole a cui non dobbiamo pensare ora, dobbiamo essere concentrati sui risultati. Quotarsi o vendere sono parole troppo grosse, pensiamo a lavorare e portare utili in tutti i paesi dove abbiamo una sede, ora è il tempo della produzione e dei fatturati, forse tra un paio di anni se continueremo su questa strada faremo aumentare l’edbida del consolidato e li sarà il tempo della decisione. 

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