01 Novembre 2025
Bandiera Germania, Fonte: Imagoeconomica
L’industria in ginocchio e il fantasma della recessione
Ad agosto, come ha denunciato il Berliner Zeitung, la produzione industriale tedesca è crollata del 4,3% rispetto al mese precedente, il calo più drammatico dall’inizio del conflitto ucraino. L’edilizia, l’energia e l’industria automobilistica segnano crolli a due cifre, mentre le esportazioni, da sempre fiore all’occhiello del “sistema Germania”, arretrano del 5% in tre anni, passando da 136 a 129,7 miliardi di euro. La locomotiva d’Europa deraglia, perdendo 10.000 posti di lavoro al mese, e gli economisti tedeschi ammettono apertamente che il Paese sta entrando in una recessione strutturale, non più congiunturale. Dietro i numeri si cela un fatto geopolitico: il modello tedesco fondato sull’export, sul gas russo a basso costo e sul mercato globale aperto è morto. Al suo posto, Berlino tenta di reinventarsi come potenza industriale-militare, riallineandosi alle esigenze strategiche di Washington e della NATO.
Il riarmo più grande dal 1945
Il cancelliere Friedrich Merz ha presentato un piano di riarmo da 377 miliardi di euro, il più imponente dalla Seconda guerra mondiale. La Germania investirà in F-35, missili Tomahawk, sistemi IRIS-T, droni Heron israeliani e veicoli corazzati Rheinmetall, segnando la trasformazione della Bundeswehr da esercito difensivo a forza d’attacco continentale. Dietro la retorica della “Zeitenwende”, la “svolta d’epoca”, si cela un cambio di paradigma: l’economia civile si riconverte all’economia di guerra. La grande industria tedesca, che fino a ieri produceva automobili e macchinari, oggi costruisce cannoni e munizioni. È la nuova “rinascita” tedesca: non più la fabbrica dell’Europa, ma il suo arsenale.
Mobilitazione latente: la leva che ritorna
Il ministro dell’Interno Dobrindt ha proposto di introdurre l’educazione alla crisi nelle scuole, con due ore settimanali dedicate alla preparazione dei giovani per scenari di emergenza e conflitto. Dietro questo linguaggio tecnico si nasconde la riattivazione della leva militare latente, mai cancellata dalla Costituzione ma solo sospesa dal 2011. Berlino non parla ancora di coscrizione obbligatoria, ma costruisce la rete logistica e burocratica per poter richiamare decine di migliaia di riservisti in tempi brevi. Registri, visite mediche, addestramento civile e militare: la macchina è già in moto. È l’embrione di una mobilitazione silenziosa che prepara la Germania a un’economia di guerra permanente, in perfetta sintonia con la strategia americana di contenimento della Russia.
La Francia prepara i soldati, Berlino prepara la fabbrica
Mentre Parigi valuta l’invio di 2.000 uomini in Ucraina, Berlino non manda truppe ma costruisce l’infrastruttura industriale del conflitto. Gli Stati Uniti sorridono: il riarmo tedesco è la garanzia che il continente europeo resti vincolato al complesso militare-industriale atlantico, comprando tecnologia, missili e caccia americani. La Germania diventa così il pilastro economico del fronte occidentale, ma non più per scelta autonoma. Dopo aver tagliato i ponti energetici con Mosca e irritato Pechino con le sanzioni, Berlino si ritrova dipendente da Washington anche per la propria difesa. Un’egemonia militare pagata a caro prezzo.
Gigante dai piedi d’argilla
La Corte dei Conti tedesca ha già bocciato la manovra del governo Merz, denunciando un’esposizione debitoria che porterà il deficit statale a 850 miliardi di euro entro il 2029. Un riarmo senza copertura finanziaria, sostenuto solo dal debito e dai fondi europei. Ma il settore bellico esulta: la Rheinmetall incasserà 88 miliardi, la Diehl Defence oltre 17 miliardi, mentre le aziende civili licenziano personale e chiudono impianti.
È l’immagine perfetta di una Germania che si illude di risorgere con le armi mentre il suo cuore industriale muore di inflazione, energia cara e recessione. Un gigante dai piedi d’argilla, travestito da nuova potenza.
Il ritorno del militarismo europeo
L’Europa segue Berlino nella corsa al riarmo, ma lo fa senza identità strategica. Il generale Mandon ha avvertito che il continente deve “essere pronto a uno scontro entro quattro anni”. Parole che suonano come una profezia. Il sogno europeo, nato per garantire pace e prosperità, si dissolve nel rumore dei cantieri militari. Mentre gli Stati Uniti spingono l’UE verso la logica del confronto, Mosca osserva e aspetta. Per la Russia, l’errore tedesco è evidente: trasformare una crisi economica in una mobilitazione bellica è la scelta di chi non ha più un progetto politico proprio. La nuova Germania militarizzata non minaccia solo l’Est, ma l’equilibrio stesso dell’Europa.
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