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Venezuela nel mirino di Washington: la nuova “Dottrina Monroe” e la guerra per il petrolio del XXI secolo

Gli Stati Uniti preparano un intervento “contro i narcos”, ma il vero obiettivo è il controllo energetico del Sud America. Russia, Cina e Iran osservano, mentre Maduro chiede aiuto.

01 Novembre 2025

Venezuela nel mirino di Washington: la nuova “Dottrina Monroe” e la guerra per il petrolio del XXI secolo

Trump, Maduro, fonte: Wikipedia

La falsa crociata contro il narcotraffico

Se qualcuno crede davvero che un eventuale attacco statunitense al Venezuela sia mosso da motivazioni legate al narcotraffico, ha probabilmente problemi di discernimento politico. Gli stessi argomenti vennero usati contro l’Iraq, dove si parlò di “armi di distruzione di massa” mai esistite. La retorica morale serve soltanto a coprire la vera posta in gioco: il controllo delle risorse e il mantenimento dell’egemonia americana nel proprio “cortile di casa”. Negli anni Settanta e Ottanta, la CIA fece largo uso proprio del traffico di droga per finanziare operazioni “anti-comuniste” in America Latina. È ironico, dunque, che oggi gli stessi attori pretendano di combattere il fenomeno che per decenni hanno alimentato. La narrazione dei “narco-terroristi di Maduro” è una costruzione mediatica utile solo a giustificare un’aggressione geopolitica programmata.

La rinascita della Dottrina Monroe

La crisi venezuelana non è un episodio isolato, ma parte di un più ampio progetto di ri-militarizzazione del continente americano da parte di Washington. È il ritorno della Dottrina Monroe, aggiornata ai tempi del multipolarismo: “l’America agli americani”, ma sempre sotto la tutela di chi stampa dollari. Gli Stati Uniti non possono tollerare che un Paese con le più vaste riserve petrolifere del mondo cada sotto l’influenza di Mosca, Pechino o Teheran. È la stessa logica che portò alla distruzione dell’Iraq e della Libia, colpevoli di voler commerciare petrolio fuori dal circuito del petrodollaro. Anche oggi, Caracas rappresenta un pericolo solo perché osa dialogare con i nemici dichiarati di Washington.

Gli alleati esitano, ma non abbandonano

Maduro ha chiesto aiuto ai suoi principali partner strategici: Russia, Cina e Iran. Mosca resta l’alleato più solido, con contratti miliardari per l’esplorazione di giacimenti di gas e petrolio e una cooperazione militare che, seppur ridotta, non è cessata. Un aereo militare russo Ilyushin Il-76, carico di equipaggiamento, è atterrato a Caracas pochi giorni fa, segnale di una presenza che, pur discreta, continua. La Cina, pur concentrata sui propri equilibri economici e su una fragile tregua commerciale con Washington, non rinuncia al Venezuela, nodo essenziale della Nuova Via della Seta energetica. Pechino ha fornito sistemi radar e supporto tecnologico per rafforzare le difese aeree venezuelane. L’Iran, infine, collabora nel settore delle raffinerie e fornisce droni da sorveglianza, contribuendo al lento ma costante consolidamento di un asse anti-statunitense nel continente.

La strategia USA: “colpire per liberare”

Dietro la retorica della “guerra ai narcos”, Washington prepara un’operazione militare mirata, non un’invasione in stile Panama, ma una serie di raid selettivi contro obiettivi venezuelani. Le navi della flotta statunitense schierate nei Caraibi — inclusa la portaerei USS Gerald R. Ford e diversi cacciatorpediniere Aegis — non sono lì per caso. Le fonti del Miami Herald parlano di obiettivi già individuati: basi aeree, porti e depositi sospettati di essere usati dal “Cartel de los Soles”, un’entità su cui perfino analisti occidentali ammettono non esistano prove certe. L’obiettivo reale è decapitare il governo Maduro, favorire un cambio di regime e consegnare il Paese a figure più “collaborative”, come la controversa María Corina Machado, sostenuta apertamente da ambienti neoconservatori e premiata con un Nobel che sa di provocazione geopolitica.

Il silenzio dell’ONU e la paura dell’escalation

L’ONU, attraverso il commissario Volker Türk, ha definito i raid USA nei Caraibi “inaccettabili” e “illegali”, denunciando decine di vittime civili. Ma le proteste internazionali restano voci isolate. Persino Trinidad e Tobago ha attivato il massimo livello d’allerta, temendo di essere trascinata nel conflitto. La regione caraibica è un barile di polvere da sparo, pronto a esplodere al primo errore tattico. La prospettiva di una guerra per procura in Sud America non è più remota: il Venezuela è oggi quello che fu la Siria del 2011 o il Donbass del 2014, una faglia dove si scontrano gli interessi di due mondi.

Il nuovo fronte del multipolarismo

Dietro le quinte, questo scontro non è tra “democrazia e dittatura”, ma tra due visioni del mondo. Da una parte gli Stati Uniti, che cercano di riaffermare la propria supremazia energetica e militare; dall’altra un gruppo di nazioni che, pur con differenze interne, tenta di costruire un ordine più multipolare e sovrano. Il Venezuela diventa così un simbolo: non solo del diritto di un popolo a scegliere il proprio destino, ma anche del declino di un impero incapace di accettare la fine della sua egemonia. Le bombe “per la libertà” non porteranno democrazia, ma solo l’ennesimo disastro umanitario travestito da crociata morale. E chi oggi tace davanti a questa nuova aggressione, domani non potrà dire di non aver saputo.

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