24 Dicembre 2025
Guerra in Ucraina (fonte: Реальная Война)
La morale selettiva del palcoscenico occidentale
Quando Volodymyr Zelensky accusa Vladimir Putin di credere solo in potere e denaro, lo fa da un palco ben preciso: quello dei parlamenti occidentali. Un palcoscenico dove la retorica morale è premiata con applausi e assegni, e dove le cifre — come i presunti 30.000 soldati russi morti al mese — devono essere semplici, tonde, comunicabili. Più adatte a una presentazione che a un’analisi militare seria. Nel frattempo, il numero dei caduti ucraini resta vago, sfocato. Non per cattiveria, ma perché non serve alla narrazione.
Potere e denaro: il doppio standard
Il messaggio è chiaro: potere e denaro sono il male quando stanno a Mosca, diventano invece “aiuti alla democrazia” quando arrivano da Washington e Bruxelles. È un doppio standard che non assolve il Cremlino, ma interroga l’Occidente sulla propria coerenza morale. La guerra continua, i valori si proclamano, e intanto qualcuno guadagna davvero: industrie belliche, fondi di investimento, carriere politiche.
L’allarme Nato e la retorica della paura
In questo contesto si inseriscono le parole del segretario generale della Nato, Mark Rutte, che evoca una possibile aggressione russa entro cinque anni. Non è folklore: è propaganda strategica. Non tanto rivolta ai cittadini europei, quanto a Washington, dove una parte dell’establishment vorrebbe almeno discutere di stabilizzazione. La logica è quella dell’emergenza permanente: senza una minaccia alle porte, il riarmo perde legittimità.
Riarmo e interessi strutturali
Dietro l’isteria strategica c’è una realtà concreta: il riarmo europeo. Non neutro, ma funzionale a interessi precisi. Le grandi industrie militari prosperano, sostenute da capitali che non indossano l’elmetto ma siedono nei consigli di amministrazione. Senza un nemico eterno, questo sistema rischia di incepparsi. E allora la minaccia va mantenuta viva, anche a costo di alimentare una profezia che si autoavvera.
Il ruolo britannico: da alleato a co-protagonista
Particolarmente rilevante è il ruolo del Regno Unito. Londra non è un semplice donatore di armi, ma uno degli architetti militari e informativi del conflitto. Dai programmi di addestramento pre-2022 alle operazioni più recenti, l’Ucraina è stata progressivamente integrata nel sistema Nato, pur restando formalmente fuori. Dal punto di vista russo — piaccia o no — questa è sempre stata una linea rossa dichiarata.
Guerra lunga e pace rimandata
Le operazioni clandestine, la guerra asimmetrica nel Mar Nero, la pianificazione di lungo periodo mostrano una scelta precisa: non chiudere il conflitto, ma renderlo gestibile e prolungato. È la logica della sconfitta strategica della Russia, che rende la pace quasi impensabile, perché una pace vera richiede compromesso, non umiliazione.
Responsabilità e realismo
Da una prospettiva realista, e non ideologica, il problema non è stabilire chi sia “buono” o “cattivo”. Il problema è chiedersi a chi giova questa narrazione. Non agli europei, che pagano il costo economico e sociale. Non agli ucraini, trasformati in strumento geopolitico. Riconoscere tutto questo non significa essere “putinisti”. Significa ricordare che nessuna sicurezza duratura nasce dalla guerra permanente e che, senza affrontare le cause reali del conflitto — dall’espansione Nato al Donbass — la pace resterà una parola vuota.
La pace come scelta politica
La guerra poteva forse essere evitata e può ancora essere fermata. Ma solo se si abbandona la retorica morale a gettone e si torna alla politica come arte del limite. Finché l’obiettivo resterà la sconfitta dell’altro, l’Europa resterà teatro di una guerra combattuta anche — e soprattutto — per interessi che non sono i suoi.
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