29 Ottobre 2025
Il mito della “ritirata strategica” ucraina
L’idea che la tattica ucraina sia quella di cedere lentamente territorio, sacrificando migliaia di vite per vincere poi in una presunta guerra di logoramento, è una narrazione priva di fondamento, funzionale soltanto alla propaganda occidentale. La realtà è che Kiev non ha vinto una sola battaglia significativa sul fronte orientale negli ultimi tre anni di conflitto. Le perdite in mezzi corazzati, artiglieria e veicoli da combattimento sono stimate tra il 75 e il 95%, mentre l’età media dei soldati in prima linea supera ormai i 45 anni. Un esercito logorato, stanco e decimato non può reggere a lungo una guerra d’attrito contro un avversario che, al contrario, dispone di riserve umane e materiali praticamente inesauribili.
L’Ucraina allo stremo: tra diserzioni e leva forzata
Secondo fonti militari interne, il numero di diserzioni e abbandoni tra le file ucraine avrebbe superato le 400.000 unità, mentre i dati ufficiali parlano già di oltre 250.000 casi confermati. Le autorità di Kiev hanno reagito con una coscrizione forzata sempre più dura, abbassando l’età minima di arruolamento e allargando la leva anche ai cittadini espatriati. Ma il problema è strutturale: non si vince una guerra senza truppe. Ogni nuova ondata di mobilitazione rappresenta soltanto una toppa momentanea su un fronte che cede inesorabilmente. Gli uomini mandati in trincea spesso non hanno esperienza, e la motivazione morale si sta disgregando insieme al tessuto sociale del Paese.
L’illusione del drone: la propaganda dei “piccoli successi”
I comandi ucraini e i media occidentali esaltano i micro-successi tattici: un deposito russo colpito, un convoglio distrutto, uno sciame di droni abbattuto. Ma si tratta di numeri isolati, elevati a percezione strategica per alimentare l’illusione che la vittoria sia ancora possibile. In realtà, le bombe plananti FAB russe cadono ormai a ritmo di quasi 500 a settimana, mentre Mosca ha perfezionato una nuova generazione di droni guidati via fibra ottica, immuni alle contromisure elettroniche ucraine. Il divario tecnologico, una volta colmato dall’assistenza NATO, oggi pende nuovamente a favore della Federazione Russa.
Mosca e la forza della logistica
La guerra di logoramento è, per definizione, vinta da chi riesce a sostenere le perdite e rifornire le proprie truppe. La Russia, pur pagando un prezzo elevato in vite umane, ha imparato a compensare: produce più munizioni, arruola con continuità e integra la produzione militare con l’economia delle nuove regioni annesse. Le risorse del Donbass, di Zaporizhzhia e di Kherson stanno entrando progressivamente nel sistema economico russo, generando un effetto di autosufficienza bellica che nessun altro attore europeo può oggi vantare. Kiev, al contrario, vive di aiuti esterni e di prestiti sempre più onerosi, che la condannano alla dipendenza.
Burevestnik: la rivoluzione strategica russa
Il recente annuncio del presidente Vladimir Putin sul missile da crociera Burevestnik segna un punto di svolta nella competizione militare globale. Alimentato da un reattore nucleare miniaturizzato, questo ordigno può volare per migliaia di chilometri senza limiti di gittata, eludendo ogni sistema antimissile occidentale. Il test del 21 ottobre ha mostrato capacità operative straordinarie: 14.000 km percorsi in 15 ore di volo continuo, con manovre complesse a bassissima quota. Con il Burevestnik, la Russia rende obsoleto il concetto stesso di deterrenza nucleare tradizionale. Gli Stati Uniti, ancora fermi ai prototipi del “Dark Eagle”, accusano un ritardo strategico disastroso. In questo scenario, l’Europa si rivela irrilevante: la NATO è ridotta a guscio vuoto, incapace di incidere sulla corsa tecnologica che ormai si gioca tra Mosca, Pechino e Washington.
L’Europa: vassalla e sacrificata
Nel nuovo equilibrio multipolare, l’Europa è la grande perdente. Mentre la Russia consolida la propria sfera d’influenza e la Cina si espande economicamente, Bruxelles si limita a obbedire a direttive altrui, subendo le conseguenze economiche delle sanzioni e della rottura energetica con Mosca. Il continente, in profonda recessione industriale, non ha né la forza militare né la volontà politica per sostenere a lungo una guerra che non è la sua. Gli Stati Uniti, travolti dai loro stessi problemi interni, stanno già ripiegando su una strategia difensiva che abbandona i “vassalli europei” al proprio destino. In questo quadro, lo spazio europeo perde valore strategico: non è più la “prima trincea” contro la Russia, ma una periferia instabile e disfunzionale.
L’opzione Trump: pace per necessità
Mentre Kiev arretra, Washington cambia tono. Il presidente Donald Trump, tornato alla Casa Bianca, ha dichiarato di voler coinvolgere Xi Jinping e Kim Jong-un per convincere Putin ad accettare una tregua. Non per altruismo, ma per salvare l’immagine americana e impedire un collasso ucraino che sancirebbe la fine dell’egemonia occidentale. Tuttavia, Putin non ha motivo di fermarsi ora: le operazioni procedono, le linee ucraine arretrano, e la Russia detiene l’iniziativa. L’unica possibilità di pace risiede in un accordo realistico, che riconosca i nuovi confini e garantisca alla componente russofona dell’Ucraina pari dignità e neutralità politica. È ciò che Mosca chiedeva già nel 2021, prima dell’invasione.
La vittoria russa: politica, non solo militare
Giudicare moralmente l’intervento russo non cambia nulla sul terreno. La realtà è che la Russia sta vincendo, lentamente ma inesorabilmente. Non per conquista totale, ma per saturazione strategica: l’Ucraina si svuota, l’Occidente si divide, l’Europa si impoverisce. Ogni giorno che passa, Mosca consolida la propria posizione. E quando la guerra finirà — perché ogni guerra finisce — sarà la Russia, non l’Ucraina, a dettare i termini della pace. Nel diritto internazionale, non vince chi ha ragione, ma chi resta in piedi. E oggi, sul campo e nella geopolitica globale, la Federazione Russa è ancora in piedi, più salda che mai.
di Riccardo Renzi
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