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Gaza, mentre Israele riprende a bombardare, il NYT squarcia il velo su uccisione giornalista Shireen Abu Akleh: assassinata a freddo da cecchino Idf

Shireen Abu Akleh, cittadina americana e una delle giornaliste più note della regione, fu uccisa l'11 maggio 2022 mentre documentava un raid delle forze israeliane nel campo profughi di Jenin in Cisgiordania. Indossava un giubbotto antiproiettile con la scritta "PRESS" ben visibile e un casco quando venne colpita alla testa

29 Ottobre 2025

Gaza, mentre Israele riprende a bombardare, il NYT squarcia il velo su uccisione giornalista Shireen Abu Akleh: assassinata a freddo da cecchino Idf

Shireen Abu Akleh Fonte: X @anthonyzenkus

Secondo quanto rivelato dal New York Times e da Zeteo News, il colonnello Steve Gabavics dell'esercito statunitense, che guidò l'indagine sull'uccisione della giornalista palestinese-americana Shireen Abu Akleh nel maggio 2022, concluse che la reporter fu colpita intenzionalmente da un soldato israeliano. Tuttavia, l'amministrazione Biden scelse di annacquare le sue conclusioni nel rapporto ufficiale del Dipartimento di Stato

Un'indagine insabbiata per non irritare Netanyahu

Gabavics, veterano della polizia militare con 30 anni di esperienza, ha dichiarato che le sue indagini andarono "oltre ogni ragionevole dubbio" nello scoprire che quello della giornalista di Al Jazeera fosse stato effettivamente un omicidio intenzionale. L'ufficiale ha rivelato che lui e i suoi colleghi rimasero "sbalorditi" quando il Dipartimento di Stato USA attribuì la morte a "circostanze tragiche", minimizzando le evidenze raccolte Al Jazeera.

L'indagine condotta dall'Ufficio del Coordinatore per la Sicurezza degli Stati Uniti aveva documentato prove significative:

  • le comunicazioni radio militari israeliane mostravano che i soldati erano consapevoli della presenza di giornalisti nell'area;
  • la precisione dei colpi che hanno colpito la testa di Abu Akleh;
  • la sequenza dei colpi - prima verso Abu Akleh, poi verso chi cercava di soccorrerla - indicava un'azione deliberata.

Gabavics ha riferito che il suo superiore, il generale Michael R. Fenzel, scelse di credere alla versione del generale israeliano Yehuda Fox, che definì la morte un "incidente" causato da "circostanze tragiche", esattamente le stesse parole poi utilizzate nel comunicato ufficiale statunitense del 4 luglio 2022. Quando Gabavics inserì nel rapporto la conclusione che lo sparo fu intenzionale, Fenzel cancellò ripetutamente le sue aggiunte, arrivando persino a minacciarlo di licenziamento.

Shireen Abu Akleh, cittadina americana e una delle giornaliste più note della regione, fu uccisa l'11 maggio 2022 mentre documentava un raid delle forze israeliane nel campo profughi di Jenin in Cisgiordania. Indossava un giubbotto antiproiettile con la scritta "PRESS" ben visibile e un casco quando venne colpita alla testa.

Un pattern di impunità

Secondo il Committee to Protect Journalists, Israele ha ucciso più giornalisti di qualsiasi altro Paese al mondo dal 1992, inclusi almeno 198 giornalisti e operatori dei media uccisi a Gaza dall'7 ottobre 2023, di cui 26 si ritiene siano stati deliberatamente presi di mira. Il caso Abu Akleh rappresenta un esempio emblematico del perché le versioni fornite dall'esercito israeliano non dovrebbero essere accettate automaticamente come verità dai media internazionali. Come dimostrato all'inizio dell'invasione di Gaza nell'ottobre 2023, molte testate - anche di centrosinistra - hanno preso per vere, senza verificarle, le prime versioni ufficiali israeliane, come la storia poi smentita dei "40 neonati decapitati".

Gaza: dalla "pace" ai nuovi bombardamenti

Dopo appena 18 giorni dall'entrata in vigore della tregua mediata dagli Stati Uniti il 10 ottobre, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha ordinato attacchi "immediati e potenti" su Gaza. La Protezione civile della Striscia ha dichiarato che almeno 30 persone sono state uccise nei raid israeliani, aggiornando precedenti bilanci.

Il pretesto utilizzato da Netanyahu per rompere la tregua è stata la consegna da parte di Hamas di resti umani che si sono poi rivelati appartenere a Ofir Tzarfati, un ostaggio il cui corpo era già stato recuperato dalle forze israeliane nel dicembre 2023. Israele ha anche deciso di spostare la "linea gialla" - il limite del ritiro iniziale concordato - per controllare una porzione maggiore di territorio della Striscia.

Come ha raccontato a Fanpage.it Sami Abu Omar, operatore umanitario dell'ONG italiana ACS che si trova ad Al Mawasi: "Sentiamo i bombardamenti su Rafah, stanno iniziando a bombardare fortissimo ma lì non abita più nessuno, non c'è un'anima, le case sono state distrutte completamente. Bombardano solo per bombardare, non so neanche io perché, forse per fare felice il popolo israeliano".

Secondo fonti delle forze di difesa israeliane, Netanyahu aveva mantenuto i contatti con Jared Kushner, genero del presidente Trump e figura chiave nel piano di pace, affermando che Israele non considerava gli scambi di martedì una violazione del cessate il fuoco.

La complicità internazionale

La vicenda di Shireen Abu Akleh e la rapida rottura della tregua a Gaza sono due facce della stessa medaglia: un sistema di impunità che permette a Israele di agire senza conseguenze, protetto dalla copertura diplomatica statunitense e dal silenzio complice di gran parte della comunità internazionale.

Organizzazioni per i diritti civili come il Council on American-Islamic Relations (CAIR) hanno chiesto al Presidente Trump di indagare sul generale Fenzel e su altri funzionari coinvolti nell'insabbiamento dell'assassinio di Abu Akleh.

Mentre le macerie di Gaza si accumulano e i giornalisti continuano a essere uccisi nel silenzio, la verità resta sepolta sotto strati di diplomazia opportunista e narrazioni distorte. Il caso Abu Akleh non è solo la storia di una giornalista assassinata: è la storia di come le democrazie occidentali scelgano di guardare dall'altra parte quando l'alleato geopolitico è in questione.

In Cisgiordania, la violenza dei coloni israeliani contro chi raccoglie le olive

Ma la violenza del regime di occupazione israeliano non si manifesta solo nei bombardamenti su Gaza o nell'uccisione di giornalisti. In Cisgiordania, la stagione della raccolta delle olive - tradizionalmente un momento di gioia e identità culturale per i palestinesi - si è trasformata in un incubo quotidiano.

Secondo i dati della Commission for Resistance to the Wall and Settlements (organismo dell'Autorità Nazionale Palestinese che monitora e documenta l'espansione degli insediamenti israeliani in Cisgiordania e la costruzione del muro di separazione), dall'inizio della stagione 2025 sono stati registrati 158 attacchi contro contadini palestinesi impegnati nella raccolta delle olive in tutta la Cisgiordania occupata. Di questi, 17 sono stati compiuti direttamente da soldati israeliani, mentre gli altri hanno visto la partecipazione di gruppi di coloni che agiscono con totale impunità, spesso protetti o affiancati dall'esercito.

Le zone più colpite sono quelle di Nablus (56 episodi), Ramallah (51) e Hebron(15). L'Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari(Ocha) segnala che dall'inizio del 2025 sono state documentate oltre mille aggressioni in circa 230 comunità della Cisgiordania. I morti per spari di coloni e soldati nelle campagne palestinesi sono almeno undici, mentre dal 7 ottobre 2023 in poi, 1.001 palestinesi sono stati uccisi in Cisgiordania.

Il caso più brutale per risonanza mediatica è avvenuto il 19 ottobre scorso nel villaggio di Turmus Ayya, a nord di Ramallah, documentato dal giornalista statunitense Jasper Nathaniel. Le immagini mostrano un colono israeliano con il volto coperto che si scaglia contro Afaf Abu Aliya, una donna palestinese di 55 anni intenta a raccogliere le olive dai suoi alberi. Colpi di bastone, calci e urla contro la donna, ora ricoverata in ospedale per le gravi ferite riportate alla testa. Secondo la Commissione palestinese per il monitoraggio e la resistenza alla colonizzazione, quella del 2025 è "la raccolta delle olive più pericolosa degli ultimi decenni, con danni economici molto gravi". I dati parlano di 48.728 alberi danneggiati o abbattuti, di cui 37.237 ulivi.

La Ministra degli Esteri palestinese Varsen Aghabekian Shahin ha definito questa escalation una "campagna sistematica di espulsione ed eliminazione" condotta con la connivenza delle forze armate israeliane, chiedendo un intervento immediato della comunità internazionale contro "un meccanismo organizzato di pulizia territoriale, volto a strappare ai palestinesi le loro terre e la loro dignità".

Gli ulivi rappresentano circa il 45% dei terreni agricoli della Cisgiordania, con 10 milioni di alberi e una produzione potenziale di 35mila tonnellate di olio annue. Non si tratta solo di un danno economico: per la comunità musulmana l'ulivo è un albero sacro, simbolo di pace e radice identitaria millenaria. La strategia è chiara: isolare le comunità agricole e spingerle ad abbandonare la terra.

Mentre i contadini palestinesi cercano di raccogliere le olive dai loro stessi alberi centenari, gruppi di coloni armati e a volto coperto li aggrediscono con bastoni e pietre, protetti dall'esercito israeliano che spesso interviene solo per disperdere le vittime con i lacrimogeni. È l'immagine cristallina di un'occupazione che non conosce tregua, di una pulizia etnica che procede albero dopo albero, oliva dopo oliva, nella totale indifferenza della comunità internazionale.

Di Eugenio Cardi

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