Putin si sta incartando nel suo tatticismo? Forse sì; perché lo zar non ha concesso a Trump un serio tavolo di mediazione?
Putin così sta indisponendo il presidente americano; sta rafforzando la posizione dell’Europa (cioé dell’asse Francia-Gran Bretagna, con Germania e Italia a seguito) e soprattutto sta assumendo sempre più la posizione di subalternità rispetto alla Cina
Che senso ha l’atteggiamento tattico di Putin verso Trump? Onestamente non riesco a capirlo. Proviamo a mettere in fila alcuni elementi.
La Russia, per quanto sia avanzata nelle sue posizioni militari, non può pensare di escludersi dalle reti geopolitiche, a maggior ragione se si considera - a ragione - un player fondamentale sul terreno energetico e delle risorse minerarie fondamentali per le industrie moderne. È nell’incrocio paritetico tra politica e business (laddove la secondo era il presupposto invisibile) l’ambito entro il quale Trump srotola la propria diplomazia: lo abbiamo visto in Medio Oriente nel coinvolgimento innanzitutto dei paesi arabi, della Turchia, dell’Egitto; pensavamo di vederlo anche con il vertice bilaterale ferragostano tra Usa e Russia in Alaska.
Tutte le fonti più accreditate erano a conoscenza delle intenzioni di Trump: disaccoppiare il Cremlino dalla Cina e accordarsi su sinergie tra i colossi americani e quelli russi, con un’occhiata privilegiata sulle molteplici risorse attorno al circolo artico. C’era anche chi - il Wall Street Journal - rivelava senza essere smentito di mediazioni affinché la Russia riaprisse le porte commerciali alla Exxon.
Insomma il summit di ferragosto sembrava foriero di intese che rimettevano la Russia in una posizione di centralità, alla condizione di una tregua che durasse in un tempo medio-lungo. Invece poco o nulla si è mosso: sul piano militare le incursioni russe sono aumentate anche in intensità militare (ma era normale dal momento che in quel vertice non si stabilì il cessate il fuoco né altro accordo di tregua), e sul piano economico ieri l’America ha deciso di assestare un colpo. Sia chiaro, nulla di realmente potente o che possa destabilizzare la Russia. Tuttavia è bene mettere in fila alcune considerazioni, partendo appunto dalla mossa di Trump di sanzionare le compagnie petrolifere russe e dalle reazioni alla stessa.
1. Non è la prima volta che l’amministrazione americana colpisce i colossi petroliferi russi, lo aveva già fatto Biden con scarsi risultati. Ora ci prova Trump versus Rosnef e Lukoil, le quali non potranno utilizzare il dollaro come valuta per la fatturazione delle forniture vendute. Ripeto, la volta scorsa la Russia non accusò il colpo anche perché la torsione delle vendite fu a favore di Cina e India.
2. Cina e India sono i due principali acquirenti di gas e petrolio russo. La Cina ha comprato il 50% del petrolio esportato, per un valore di 3,3 miliardi di dollari. L’India è il secondo: per questo rapporto Trump l’aveva recentemente punita con dazi al 50%. Di fronte alla mossa americana, la Cina avrebbe sospeso gli acquisti di petrolio via mare. E pure l’India pare intenzionata a seguire Pechino, nel tentativo di ammorbidire la Casa Bianca e rivedere i dazi.
3. Vale la pena soffermarci sulla mossa sorprendente di Xi Jinping. Perché lo ha fatto? Si tratta di un tradimento a danno di Mosca? O un messaggio perché Putin cessi le ostilità in Ucraina? O cos’altro? Escluderei la seconda: messaggi diretti in tal senso non ce ne sono e tutto sommato, la guerra in Ucraina tiene occupata la Casa Bianca distogliendola parzialmente da Taiwan. Un tradimento cinese contro Putin, nemmeno: perché dovrebbe? Diciamo che la Cina sta facendo la mossa più cinica, più fredda e più conveniente: non accentua le tensioni con Trump, dopo lo strappo recente; e si mette nella posizione di vantaggio per nuovi investimenti energetici. Finora infatti la Cina ha visto potenziare le reti infrastrutturali energetiche che dalla Russia riforniscono l’Oriente, soprattutto i gasdotti; e soprattutto ha chiuso contratti di fornitura a prezzi assolutamente vantaggiosi. Un po’ come faceva l’Europa con Mosca prima dell’invasione in Ucraina.
4. Nei quattro anni di guerra, Lukoil non ha subito il contraccolpo che Gazprom ha sentito; anzi il colosso petrolifero russo ha visto girare a pieno regime le sue raffinerie in Olanda, in Romania e in Bulgaria, così come ha mantenuto intatte le sue reti di distribuzione in Olanda e in Belgio. Non solo. Lukoil ha relazioni internazionali con partner occidentali: la nostra Eni è nel consorzio operativo nel Kazakistan assieme a Shell e Chevron, per esempio.
Alla luce di questi fatti, a questo punto, vale la pena domandarsi perché la Russia ha deciso di forzare con Trump, che pure aveva illuminato di nuova luce diplomatica il presidente russo (attirandosi critiche notevoli). Perché non ha concesso a Trump un serio tavolo di mediazione? Trump non avrebbe avuto problemi ad assecondare alcuni punti che l’Europa considera come tabù, ma avrebbe preteso che la mediazione tenesse lungamente per non bruciare gli investimenti. Invece Putin così sta indisponendo il presidente americano; sta rafforzando la posizione dell’Europa (cioé dell’asse Francia-Gran Bretagna, con Germania e Italia a seguito) e soprattutto sta assumendo sempre più la posizione di subalternità rispetto alla Cina.
La domandona dunque è una: signor Putin, lei ha scatenato la guerra in Ucraina per rivendicare al mondo Nato che la Russia è una potenza che merita rispetto, ma ora lei ha posizionato la Russia al ruolo di satellite della Cina, sia da un punto di vista politico che economico. Mai come adesso le conveniva arrivare alla tregua e farla durare.
di Gianluigi Paragone
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