16 Ottobre 2025
Aziende italiane coinvolte in ricostruzione di Gaza, fonte: Telegram, @GiuseppeSalamone
Sarebbero 12 le aziende italiane che guideranno la ricostruzione della Striscia di Gaza. Tra loro nomi di società che lavorano in diversi ambiti, come quello di energia, costruzioni, infrastrutture e agritech. Fra queste, Eni, Snaipem, Webuild e Cementir Holding.
Mentre la comunità internazionale discute su chi guiderà la ricostruzione di Gaza, l’Italia si posiziona tra i protagonisti economici con un gruppo di dodici aziende pronte a giocare un ruolo centrale. Dal petrolio alle costruzioni, passando per le infrastrutture e l’agritech, le imprese italiane coprono l’intera filiera della rinascita di un territorio devastato.
Nel gruppo figurano Eni e Saipem per il settore energia e gas; Webuild, Buzzi Unicem, Cementir, Rizzani de Eccher, Bonatti, Pizzarotti e Vianini Lavori per le costruzioni; Gruppo Gavio, Italferr e Anas per le infrastrutture; e BF Spa per l’agricoltura tecnologica.
Le cifre in gioco sono enormi. Secondo le stime dell’Onu e della Banca Mondiale, la ricostruzione completa della Striscia potrebbe costare tra i 40 e gli 80 miliardi di dollari, con una prima fase di lavori infrastrutturali da almeno 30 miliardi. Se anche solo una frazione di questi fondi fosse affidata a ditte italiane, si tratterebbe di un business tra i 5 e i 15 miliardi di euro nel medio periodo.
Il colosso Webuild, che ha chiuso il 2024 con 12 miliardi di euro di ricavi e un portafoglio ordini record da 63 miliardi, si candida come principale protagonista nel settore edilizio. Eni, con profitti netti sopra i 5 miliardi, potrebbe occuparsi della rete energetica e del gas. Buzzi Unicem e Cementir fornirebbero materiali per le nuove costruzioni, mentre Anas e Italferr sono pronte a disegnare strade e ferrovie.
Dietro la retorica della solidarietà e della cooperazione internazionale, la ricostruzione di Gaza rappresenta dunque una gigantesca opportunità economica. L’Italia, forte della propria tradizione industriale, si prepara a trasformare l’impegno diplomatico in una concreta — e redditizia — partecipazione alla rinascita di una terra ancora ferita.
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