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Kashmir, SCO e nuova geopolitica asiatica: la polveriera indo-pakistana tra escalation nucleare e multilateralismo cinese

Il conflitto in Kashmir non è solo una questione locale: è il simbolo della fragilità dell’ordine internazionale in Asia. Un conflitto mai risolto, congelato da decenni ma capace di degenerare in pochi giorni, specie in un’epoca di conflitti ibridi, narrative contrapposte e strumentalizzazione identitaria

16 Ottobre 2025

India, missile supersonico lanciato contro il Pakistan per errore: proteste di Islamabad

fonte: Twitter @ani_digital

Il Kashmir, un conflitto eterno nel cuore dell’Asia

Da oltre settant’anni, il Kashmir rappresenta uno dei nodi più intricati e pericolosi della geopolitica asiatica. Terra di vette maestose e cultura millenaria, è anche una delle aree più militarizzate del pianeta, spartita tra due potenze nucleari rivali: India e Pakistan. Oggi, circa due terzi della regione sono controllati da New Delhi, mentre il restante terzo è in mano a Islamabad. Entrambi ne rivendicano la sovranità totale, trasformando ogni crisi locale in una potenziale miccia globale.

Un’eredità coloniale irrisolta

La radice del conflitto affonda nella Partizione del 1947, quando l'India e il Pakistan ottennero l'indipendenza dal Regno Unito. Il Maharaja del Kashmir, indù in uno Stato a maggioranza musulmana, decise di aderire all’India dopo un’invasione da parte di tribù pakistane. Da allora, la regione è stata teatro di tre guerre dichiarate (1947-48, 1965, 1971) e numerosi scontri ad alta intensità, come quelli di Kargil (1999) e del 2019, quest’ultimo innescato da un attentato suicida contro soldati indiani nel Jammu and Kashmir. La recente escalation dell’aprile 2025, scatenata da un altro attacco terroristico, ha riacceso i timori di una guerra totale. Scambi di missili, bombardamenti aerei e incursioni armate hanno lasciato sul campo decine di vittime, militari e civili. Solo la mediazione statunitense ha impedito un allargamento incontrollato del conflitto.

Contesa territoriale, identitaria e strategica

La regione rimane divisa dalla cosiddetta Linea di Controllo (LoC), un confine de facto che riflette le posizioni militari successive agli ultimi conflitti. Il Pakistan basa la sua rivendicazione su elementi religiosi e geografici, richiedendo un referendum popolare sotto l’egida delle Nazioni Unite. L’India, invece, insiste sull’adesione volontaria del Kashmir nel 1947 come atto legittimo e definitivo. Dal 2019, New Delhi ha revocato l’autonomia costituzionale della regione, sopprimendo l’Articolo 370 e dividendo l’ex Stato in due entità federali: Jammu e Kashmir e Ladakh. Questa mossa ha alimentato proteste locali, specialmente tra i musulmani del Jammu e Kashmir e i buddhisti del Ladakh, culminate lo scorso settembre in violenti scontri con la polizia.

Diritti umani e radicalizzazione

Entrambe le amministrazioni—quella indiana e quella pakistana—sono state accusate da organizzazioni internazionali di violazioni sistematiche dei diritti umani nei territori sotto il loro controllo. Secondo l’OHCHR, la repressione delle proteste, la militarizzazione della vita civile e l’uso della detenzione arbitraria sono pratiche comuni in tutta la regione del Kashmir. La radicalizzazione islamista, favorita anche da finanziamenti esterni, continua a crescere. L’India accusa Islamabad di sostenere gruppi armati attivi nel suo territorio, mentre il Pakistan punta il dito contro New Delhi per il presunto appoggio a movimenti separatisti in Balochistan e Khyber Pakhtunkhwa.

L’equilibrio del terrore

La bilancia militare pende nettamente verso l’India, quarta potenza militare mondiale secondo Global Fire Power 2025, con oltre 1,5 milioni di soldati attivi, più di 500 milioni di riservisti e una dotazione di oltre 4.000 carri armati, 2.200 velivoli e forze navali di prim’ordine. Il Pakistan, dodicesimo nella stessa classifica, è militarmente inferiore ma compensa il divario con strategie asimmetriche e soprattutto con l’arsenale nucleare. È questo il vero ago della bilancia. L’equilibrio del terrore impedisce guerre su vasta scala ma normalizza le crisi di intensità crescente. La minaccia atomica funge da deterrente, ma aumenta il rischio di errori di calcolo, reazioni sproporzionate e decisioni impulsive per non “perdere la faccia”.

Islamabad, tra instabilità interna e sospetti esterni

Il Pakistan non è soltanto impegnato sul fronte esterno. All’interno dei suoi confini, soprattutto nelle province di Khyber Pakhtunkhwa e Balochistan, si è registrato un drammatico aumento di attacchi terroristici. L’organizzazione Tehreek-e-Taliban Pakistan (TTP) ha interrotto il cessate il fuoco e ha compiuto decine di attentati nel solo mese di settembre, uccidendo decine di membri delle forze di sicurezza. L’esercito pakistano ha risposto con operazioni mirate, rivendicando l’uccisione di decine di terroristi “sponsorizzati dall’India”. Le accuse di ingerenza indiana nelle dinamiche terroristiche interne, sebbene prive di prove concrete, sono diventate un ritornello ricorrente nella narrazione ufficiale pakistana, utile a consolidare il fronte interno e delegittimare l’India a livello internazionale.

SCO: cooperazione o alleanza anti-occidentale?

La tensione indo-pakistana si inserisce in un contesto più ampio: quello della nuova geopolitica asiatica, sempre più segnata dall’ascesa di strutture multilaterali alternative all’Occidente. La recente 24ª riunione della Shanghai Cooperation Organization (SCO) a Tianjin ha rilanciato l’integrazione regionale tra Cina, India, Pakistan, Russia e le ex repubbliche sovietiche dell’Asia Centrale. Il summit ha portato alla nascita della SCO Development Bank, modellata sulla linea della Nuova Banca di Sviluppo dei BRICS, e ha promosso una cooperazione rafforzata su intelligenza artificiale, spazio e cybersicurezza. Xi Jinping ha parlato apertamente di un "nuovo ordine globale multipolare", con Putin che ha definito la SCO come un “modello di multilateralismo genuino, alternativo alla NATO e alle strutture euro-atlantiche”.

India tra due fuochi: cooperazione e competizione

La posizione dell’India resta ambigua: da un lato partecipa attivamente alla SCO, condividendone alcuni obiettivi, soprattutto economici; dall’altro resta vicina all’Occidente sul piano strategico, membro del Quad insieme a USA, Giappone e Australia, e sempre più coinvolta nella contenzione della Cina nel Pacifico.Nel contesto attuale, l’India è sia ago della bilancia che potenziale detonatore. La sua crescente assertività in Kashmir, l’abolizione dell’autonomia locale, il nazionalismo del Bharatiya Janata Party (BJP) e la competizione interna con la Cina per l’egemonia asiatica la spingono a una politica estera muscolare, che però potrebbe rivelarsi controproducente.
Tra guerra permanente e ordine emergente

Il conflitto in Kashmir non è solo una questione locale: è il simbolo della fragilità dell’ordine internazionale in Asia. Un conflitto mai risolto, congelato da decenni ma capace di degenerare in pochi giorni, specie in un’epoca di conflitti ibridi, narrative contrapposte e strumentalizzazione identitaria. La SCO tenta di proporsi come piattaforma alternativa a Washington e Bruxelles, ma la rivalità tra i suoi stessi membri, come India e Pakistan, ne limita l’efficacia. Finché le crisi regionali come quella del Kashmir non verranno affrontate con serietà, diplomazia multilaterale e garanzie internazionali, resteremo nel limbo pericoloso dell’equilibrio instabile.

di Riccardo Renzi

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