16 Ottobre 2025
Fonte: Facebook @Corriere della Sera
Le dichiarazioni shock dell’ex capo dell’intelligence militare israeliana
Una serie di registrazioni audio trapelate ha scosso l’opinione pubblica internazionale, rivelando dichiarazioni inquietanti dell’ex capo dell’intelligence militare delle Forze di Difesa Israeliane (IDF), Aharon Haliva. Nei clip audio trasmessi dall’emittente israeliana Channel 12, Haliva afferma che per ogni persona morta durante l’attacco del 7 ottobre 2023, “devono morire 50 palestinesi, anche se sono bambini”.
Le parole dell’ex generale sono ancora più esplicite quando aggiunge: “Il fatto che ci siano già 50.000 morti a Gaza è necessario e indispensabile per le generazioni future. Ok, avete umiliato, massacrato, ucciso, è tutto vero”. Haliva non parla di vendetta, ma di lasciare “un messaggio alle generazioni future”, sostenendo che i palestinesi “hanno bisogno di una Nakba ogni tanto per sentire il prezzo”.
Il termine “Nakba”, che significa catastrofe in arabo, si riferisce all’espulsione di 700.000 palestinesi dalla loro patria nel 1948 durante la creazione dello Stato di Israele. L’uso deliberato di questo termine da parte di un alto ufficiale militare rivela una volontà programmatica di infliggere sofferenze collettive alla popolazione palestinese.
Haliva era il capo dell’intelligence militare dell’IDF quando avvenne l’attacco del 7 ottobre, che causò la morte di circa 1.200 israeliani. Si dimise dalla sua carica nell’aprile 2024, diventando il primo ufficiale di alto rango dell’IDF a farlo, assumendosi la “responsabilità di leadership” per i fallimenti che portarono agli attacchi. In risposta alla pubblicazione delle registrazioni, Haliva ha espresso rammarico, definendole “frammenti di cose parziali” che non rifletterebbero il quadro completo, pur non negando di aver fatto quelle dichiarazioni.
L’aritmetica della morte secondo Jeffrey Sachs
L’economista e accademico, nonché consulente di vari capi di stato, Jeffrey Sachs, insieme a Sybil Fares, ha analizzato queste dichiarazioni in un articolo pubblicato su Common Dreams l’11 ottobre 2025, dal titolo eloquente: “Israele raggiunge la sua quota di omicidi di massa”.
Sachs evidenzia una semplice ma agghiacciante aritmetica: se circa 1.275 israeliani sono morti a seguito dell’attacco del 7 ottobre, la “quota” stabilita da Haliva sarebbe di circa 63.750 palestinesi uccisi (50 x 1.275). Secondo il Ministero della Salute di Gaza, come riportato dalle Nazioni Unite, questo obiettivo numerico è stato raggiunto nelle ultime settimane, coincidendo con l’osservanza di un cessate il fuoco. Sachs avverte però che quando le macerie saranno rimosse e gli epidemiologi avranno completato il loro lavoro, il bilancio delle vittime raggiungerà probabilmente centinaia di migliaia di persone, includendo coloro che sono morti per mancanza di cure mediche, fame e altre gravi carenze.
Per Sachs, Israele sta commettendo un genocidio, fatto documentato dalle Nazioni Unite e confermato dall’Associazione internazionale degli studiosi di genocidio. L’accademico identifica la logica coloniale alla base di questa campagna militare, citando il recente lavoro della storica Lauren Benton, “They Called it Peace”. Benton descrive come i colonizzatori abbiano storicamente utilizzato l’omicidio di massa e il terrore come meccanismi di controllo, dove “la pace non era immaginata come la cessazione della violenza, ma come l’imposizione dell’ordine attraverso la paura e la punizione”.
Il genocidio a Gaza, secondo Sachs, segue esattamente questa logica coloniale. L’obiettivo non era principalmente sconfiggere Hamas o liberare gli ostaggi, cosa che avrebbe potuto essere ottenuta attraverso i negoziati. L’obiettivo era terrorizzare i palestinesi e spezzare la loro volontà, perseguendo l’eliminazione di ogni possibilità di uno Stato palestinese. La lezione per i palestinesi è che non devono mai sfidare il loro occupante; per il resto del mondo, che Israele è al di sopra del diritto internazionale, anche quando commette genocidio.
Sachs colloca questo episodio in un contesto più ampio, citando lo storico Rashid Khalidi che descrive il genocidio a Gaza come “una continuazione della pulizia etnica”. La strategia decennale israeliana di “falciare il prato” attraverso uccisioni di massa episodiche mira a controllare permanentemente tutta la Palestina occupata, dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo, come promesso dalla Carta del 1977 del partito Likud di Netanyahu.
I parallelismi storici con il Processo di Norimberga
Lo scrittore John Leake sul blog Focal Points pone una domanda provocatoria: “Sono stati dimenticati i processi di Norimberga?” Leake stabilisce un parallelismo inquietante tra le dichiarazioni di Haliva e il caso Stati Uniti contro Wilhelm List, il settimo dei dodici processi di Norimberga condotti dopo la Seconda Guerra Mondiale.
In quel processo, svoltosi tra luglio 1947 e febbraio 1948, furono perseguiti i leader militari tedeschi per aver preso e giustiziato ostaggi tra la popolazione civile. Di particolare interesse era la pratica delle uccisioni di rappresaglia, spesso in un rapporto di 100 civili per ogni soldato tedesco ucciso. I comandanti tedeschi sostenevano che queste azioni fossero necessarie per mantenere l’ordine e scoraggiare la resistenza.
Il ragionamento di Haliva appare stranamente simile a quello dei generali nazisti processati a Norimberga. Come loro, parla di necessità militare e di insegnare una lezione duratura. La sua affermazione che i palestinesi “hanno bisogno di una Nakba ogni tanto per sentirne il prezzo” riecheggia la logica punitiva che i tribunali internazionali hanno già condannato come crimine contro l’umanità.
Leake ricorda il suo professore di letteratura Saul Bellow, premio Nobel che aveva visitato Israele nel 1975 e scritto un libro di memorie intitolato “To Jerusalem and Back”. Bellow descriveva Israele come “sia uno Stato fortezza che una società colta, sia spartana che ateniese”, una nazione che cerca di “fare tutto, di capire tutto, di provvedere a tutto”. Durante quella visita, Bellow incontrò israeliani che esprimevano sentimenti critici riguardo al trattamento riservato ai palestinesi.
Leake suggerisce che, sebbene Bellow sarebbe probabilmente stato di parte a favore di Israele, sarebbe stato profondamente sconvolto dalla dichiarazione di Haliva sulle uccisioni di rappresaglia. Il professore apprezzava la cultura tedesca pre-nazista e comprendeva come la reputazione di una nazione potesse essere macchiata dal comportamento atroce di cattivi leader e ufficiali militari.
Conclusioni
Le dichiarazioni di Aharon Haliva rappresentano non solo l’ammissione di una strategia militare basata sulle uccisioni di massa di civili, ma anche la rivelazione di una mentalità che considera accettabile e persino necessario il massacro come strumento politico. Che queste parole provengano da un alto ufficiale dell’intelligence militare israeliana, pronunciate non nell’impeto di un momento ma come riflessione calcolata su una strategia deliberata, rende la situazione ancora più grave.
Le analisi di Sachs e le riflessioni storiche di Leake collocano queste dichiarazioni in un contesto più ampio: quello della logica coloniale e dei crimini di guerra che la comunità internazionale ha già condannato e processato. Il fatto che oltre 62.000 palestinesi siano stati uccisi dal 7 ottobre 2023, con un bilancio destinato a crescere drammaticamente quando sarà possibile un conteggio completo, testimonia la tragica realtà di questa “quota di morte”.
Resta da vedere se la comunità internazionale risponderà a queste rivelazioni con la stessa determinazione con cui ha perseguito i crimini di guerra del passato, o se le lezioni di Norimberga saranno effettivamente dimenticate.
Sabino Paciolla
Fonte: Il Blog di Sabino Paciolla
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