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Gaza, il diritto internazionale sotto assedio: escalation militare e accuse ONU scuotono l’equilibrio globale

Oggi, Gaza è il termometro di un mondo che rischia di perdere l’equilibrio, e insieme, l’umanità

29 Settembre 2025

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È una giornata scandita da boati e fumo nero quella che si è abbattuta oggi su Gaza. Almeno 50 le vittime civili registrate secondo fonti locali e umanitarie. Un numero che si somma alle migliaia di morti di questi mesi, mentre la macchina militare israeliana continua la sua avanzata e il dibattito internazionale si fa ogni giorno più acceso. Gli ultimi raid hanno colpito, tra le altre, l’area intorno alla parrocchia della Sacra Famiglia, documentati in tempo reale da padre Gabriel Romanelli, parroco argentino da anni nella Striscia. In un video condiviso sui social, il religioso mostra bambini rifugiati nella chiesa, mentre fuori il cielo si squarcia: un’esplosione a meno di un chilometro di distanza.

Gli attacchi di oggi, secondo l’esercito israeliano, rientrano nell’operazione “Carri di Gedeone 2”, con l’obiettivo di sradicare definitivamente le milizie di Hamas. Ma a pagare il prezzo più alto, ancora una volta, sono i civili. Il bilancio, aggiornato da fonti dell’UNRWA, è drammatico: oltre 640 mila sfollati interni, due ospedali chiusi nelle ultime 24 ore, tra cui quello pediatrico Al-Rantissi. Le infrastrutture sanitarie sono sempre più nel mirino: anche la stazione di ossigeno dell’ospedale Al-Quds è stata colpita. Aumentano, inoltre, i casi di malnutrizione tra i bambini sotto i cinque anni, mentre le vie d’accesso agli aiuti — come il valico di Allenby tra Giordania e Cisgiordania — restano chiuse per “motivi di sicurezza”.

Nel frattempo, un altro fronte si accende, questa volta al largo di Creta: le imbarcazioni della Global Sumud Flotilla, cariche di aiuti per Gaza, sono state attaccate nella notte mentre navigavano in acque internazionali. La denuncia arriva dagli attivisti a bordo, che parlano di 13 esplosioni e disturbi elettronici attribuiti all’esercito israeliano. Israele accusa apertamente la Flotilla di connessioni con Hamas. La relatrice speciale dell’ONU per i Territori palestinesi, Francesca Albanese, ha chiesto “protezione internazionale immediata” per i civili a bordo.

Ma la novità più dirompente arriva da Ginevra. Il rapporto A/HRC/60/CRP.3, pubblicato dal Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU, ha formalizzato un’accusa pesantissima: Israele, si legge, avrebbe adottato pratiche riconducibili al crimine di genocidio. Il documento — redatto da una commissione indipendente — elenca le modalità delle operazioni militari: uccisioni sistematiche, danni fisici e psicologici gravi, distruzione di infrastrutture vitali, imposizione di condizioni di vita insostenibili. E soprattutto, riporta dichiarazioni di leader israeliani che parlano di “annientamento” e “distruzione totale” della popolazione palestinese di Gaza. Elementi che, secondo il rapporto, configurerebbero una volontà genocidaria, come definita dalla Convenzione ONU del 1948.

La questione, tuttavia, è tutt’altro che semplice. Sul piano operativo, le IDF si difendono invocando il diritto alla sicurezza e la necessità di neutralizzare un nemico — Hamas — che utilizza scudi umani, nasconde armi in scuole e ospedali, e lancia razzi da aree residenziali. È un terreno moralmente e giuridicamente scivoloso, dove il diritto internazionale umanitario si scontra con le asimmetrie della guerra urbana.

Sul piano diplomatico, il presidente USA Donald Trump ha convocato un vertice a margine dell’Assemblea Generale dell’ONU. Presenti Arabia Saudita, Qatar, Egitto, Giordania, Turchia ed Emirati Arabi Uniti. Obiettivo: spingere Israele a un cessate-il-fuoco e contenere l’ala più estrema del governo Netanyahu, che spinge per l’annessione definitiva di parte della Cisgiordania. Una mossa che, secondo gli Emirati, farebbe saltare gli Accordi di Abramo. La Casa Bianca ha intanto rigettato una proposta di Hamas per una tregua di 60 giorni in cambio della liberazione parziale degli ostaggi: “O tutti o nessuno”, ha replicato il segretario di Stato Marco Rubio.

In Europa, le posizioni divergono. La Spagna e l’Irlanda spingono per una condanna formale e sanzioni mirate. La Germania mantiene un profilo cauto. L’Italia cerca una difficile sintesi tra l’alleanza strategica con Israele e la tutela del diritto internazionale, mentre cresce l’indignazione pubblica: la rete “Preti contro il genocidio”, nata ad agosto, ha già raccolto oltre mille adesioni. “Non siamo contro qualcuno, ma per ogni vita umana”, dichiarano i promotori, che ieri si sono riuniti a Roma in preghiera e protesta.

Il Papa, di rientro da Castel Gandolfo, ha parlato con i giornalisti: “La Santa Sede ha da anni riconosciuto la soluzione dei due Stati. Ma oggi manca volontà di ascolto. Il dialogo è rotto”. Leone XIV ha anche chiesto di deporre le armi e “fermare l’escalation”. È un messaggio diretto non solo a Israele, ma anche all’Europa: “Unita, potrebbe fare molto”.

E infatti l’Europa sarà presto chiamata a fare i conti con l’altra emergenza: l’eventuale esodo di massa. Il rifiuto dell’Egitto di accogliere profughi da Gaza evidenzia un rischio concreto. Secondo alcune proiezioni, potrebbero essere oltre due milioni le persone in fuga. Un numero che minaccia di destabilizzare l’intero Mediterraneo e di innescare nuove tensioni anche nel cuore dell’Unione europea.

Ciò che accade oggi a Gaza non è un affare locale. È una crisi che mette in discussione i fondamenti stessi del diritto internazionale, i valori occidentali e la tenuta degli equilibri geopolitici post-Guerra Fredda. Il rapporto dell’ONU potrà forse non produrre effetti giuridici immediati, ma ha già inciso sul piano politico e morale. Ha acceso un riflettore sul prezzo pagato dai civili, su ciò che possiamo — o non possiamo più — tollerare.

Oggi, Gaza è il termometro di un mondo che rischia di perdere l’equilibrio, e insieme, l’umanità.

Di Riccardo Renzi

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