11 Settembre 2025
Un colpo secco, alla giugulare, come un’esecuzione. Così si è spento Charlie Kirk, 31 anni, volto simbolo della nuova destra americana, durante un evento all’Utah Valley University. Era il 10 settembre. Avrebbe compiuto 32 anni tra un mese. Nessuno lo avrebbe immaginato che quel giorno, in pieno tour “The American Comeback”, si sarebbe trasformato in tragedia. Né l’America, né il mondo conservatore, né tantomeno Donald Trump, che ha annunciato pubblicamente la morte dell’amico e alleato con parole dure: “Un momento buio per l’America. Nessuno ha capito il cuore di questa nazione meglio di Charlie.”
La dinamica è ancora avvolta nel mistero. Secondo le prime ricostruzioni, un solo proiettile ha colpito Kirk al collo, partito presumibilmente dal tetto del Losee Center, a circa 180 metri dal palco. L'autore del gesto – descritto da alcuni testimoni come un uomo anziano – è ancora ignoto. Le autorità hanno fermato due persone, poi rilasciate, mentre sui social ha cominciato a circolare un video tremendo: Kirk si accascia, il panico esplode in sala. Il leader conservatore verrà trasportato in ospedale, ma le ferite si riveleranno fatali.
Un’esecuzione pubblica. Un atto politico. Un omicidio annunciato? La domanda inquietante rimbalza con forza nel dibattito pubblico americano.
Kirk, il volto giovane dell’America profonda
Fondatore a soli 18 anni di Turning Point USA, Charlie Kirk era diventato nel tempo il catalizzatore di una generazione di giovani conservatori delusi dal liberalismo radicale dei campus, dall’agenda progressista imposta nei centri educativi, e dalla burocratizzazione soffocante dello stato federale. Nonostante la giovane età, aveva costruito un impero mediatico-politico: show radiofonico quotidiano, milioni di follower sui social, conferenze sold out in tutti gli Stati Uniti.
Uomo divisivo, certo. Ma anche dialogante. I suoi incontri nei campus erano famosi per la formula del “microfono aperto”: prendeva le domande più scomode, rispondeva con veemenza, ma mai con odio. Il suo stile era battagliero, spesso provocatorio, ma non istigava alla violenza. Anzi, in più occasioni aveva condannato gli estremismi di ogni colore, sostenendo che “la guerra delle idee si vince con gli argomenti, non con le pallottole”.
Una democrazia sotto tiro
Eppure proprio con una pallottola lo si è messo a tacere. Come accaduto a Melissa Hortman, deputata democratica uccisa mesi fa con il marito. Come accaduto a Trump, miracolosamente scampato a un attentato nel luglio 2024. Il filo rosso è chiaro: la politica americana è diventata un campo minato, dove l’odio ideologico ha superato il punto di non ritorno. Non c’è più spazio per il dissenso civile. C’è solo lo scontro. E il sangue.
Charlie Kirk, piaccia o meno, non era un estremista armato. Era un attivista, un comunicatore. Qualcuno potrà criticarne le posizioni, le forzature, persino le provocazioni. Ma non si può ignorare che la sua uccisione rappresenta una ferita profonda per il tessuto democratico americano. In una società sana, si risponde al pensiero con il pensiero. Non con un fucile d’assalto.
Il silenzio dei colpevoli morali
Fa rumore, in queste ore, il silenzio di certa sinistra progressista. Gli stessi che gridavano alla censura ogni qual volta un loro rappresentante veniva contestato, oggi si rifugiano in un imbarazzante mutismo, o peggio, giustificano l’accaduto come “conseguenza del clima d’odio alimentato dalla destra”. Una retorica cinica e pericolosa, che dimentica un principio elementare: nessuna parola giustifica un proiettile. Nessuna idea può essere cancellata con un omicidio.
Eppure, lo stesso evento in cui Kirk è stato assassinato era stato preceduto da una lettera firmata da oltre mille studenti, contrari alla sua presenza. Si chiedeva alla direzione dell’università di vietare il suo intervento. Non ci sono prove che quegli studenti siano legati all’assassinio. Ma resta il dato culturale: una generazione che reclama la censura preventiva di ciò che non approva, è una generazione che rischia di giustificare, tacitamente, anche i metodi più violenti.
Un’eredità scomoda, ma viva
Charlie Kirk non tornerà. Ma le idee che rappresentava – populismo, nazionalismo, difesa dei valori tradizionali, critica al globalismo – non spariranno con lui. Anzi, è possibile che il suo martirio ne moltiplichi la portata. La destra americana lo considera già un simbolo. Donald Trump lo ha definito “leggendario”. Turning Point Action, l’organizzazione politica da lui fondata, ha promesso di continuare la battaglia culturale nei campus. E il mondo conservatore si compatta, mentre quello liberal si trova ora nella scomoda posizione di dover spiegare come si possa difendere la libertà di espressione... solo quando si è d'accordo con chi parla. Charlie Kirk era giovane, mediatico, spigoloso. Ha detto e fatto cose discutibili. Ha sbagliato. Ma aveva il coraggio di esporsi, in un Paese dove ormai il pensiero libero è diventato un bersaglio. La sua morte non può essere archiviata come una tragedia personale. È un segnale politico. È la conferma che negli Stati Uniti – la più grande democrazia occidentale – il dissenso sta diventando una questione di vita o di morte. Non si tratta di essere conservatori o progressisti. Si tratta di capire che il pluralismo non sopravvive quando il confronto si trasforma in caccia all’uomo. Charlie Kirk ha pagato con la vita il prezzo delle sue idee. E in questo, almeno, ha insegnato più di molti professori.
di Riccardo Renzi
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