12 Agosto 2025
Fonte: imagoeconomica
Centinaia di ex piloti dell'aviazione israeliana e riservisti delle forze di difesa si raduneranno stasera davanti al quartier generale dell'Idf a Tel Aviv, in una manifestazione che sta spaccando la società israeliana e mettendo in discussione la narrazione ufficiale sulla guerra. Il più grave scisma mai visto all'interno dell'establishment militare israeliano dalla guerra del Libano del 1982.
La protesta di stasera arriva dopo settimane di crescente tensione seguita alla pubblicazione di una lettera aperta firmata da quasi 1.000 veterani e riservisti dell'aviazione israeliana. La campagna crescente, che accusa il governo israeliano di perpetrare la guerra per ragioni politiche e di non riuscire a riportare a casa gli ostaggi rimanenti, ha messo a nudo profonde divisioni e disillusione riguardo ai combattimenti di Israele a Gaza.
Un gruppo di quasi 1.000 veterani dell'aeronautica militare israeliana, la stragrande maggioranza in pensione, ha pubblicato giovedì una lettera che chiedeva la liberazione degli ostaggi, anche se ciò comportasse la fine completa della guerra contro Hamas. Il documento, che ha innescato un terremoto politico in Israele, non si limitava a chiedere un cessate il fuoco, ma accusava direttamente il governo Netanyahu di aver trasformato quella che doveva essere un'operazione di sicurezza in una manovra politica. I firmatari hanno dichiarato di aver trovato che la guerra a Gaza si era spostata dai suoi obiettivi dichiarati per servire invece "interessi politici e personali". La lettera proseguiva con un'accusa devastante: "Come è stato dimostrato in passato, solo un accordo ha riportato gli ostaggi sani e salvi, mentre la pressione militare porta principalmente all'uccisione degli ostaggi e al pericolo per i nostri soldati".
La reazione del primo ministro Benjamin Netanyahu non si è fatta attendere. Netanyahu ha denunciato circa 1.000 riservisti attuali e in pensione dell'aeronautica militare israeliana, che hanno firmato una lettera chiedendo la fine della guerra a Gaza, definendoli "marginali ed estremisti".
Ma la risposta più violenta è arrivata quando Netanyahu ha accusato i riservisti di rappresentare una piccola minoranza finanziata da organizzazioni che avrebbero intenzione di rovesciare il suo governo. In un comunicato al vetriolo, il premier ha dichiarato: "Si tratta di un gruppo piccolo, rumoroso, anarchico e disconnesso di pensionati, un grande gruppo dei quali non serve da anni".
Per poi continuare "Le erbacce stanno cercando di indebolire lo Stato di Israele e l'Idf e stanno incoraggiando il nostro nemico a farci del male", in quello che suona come un chiaro tentativo di delegittimare il dissenso interno etichettandolo come tradimento.
La lettera originale dei piloti dell'aeronautica ha fatto da catalizzatore per una protesta più ampia. Circa 250 riservisti dell'unità di intelligence d'élite 8200 dell'Idf hanno espresso il loro sostegno ai piloti dell'aeronautica militare israeliana, unendosi alla richiesta di un immediato cambio nella politica di guerra del governo. Migliaia di riservisti in pensione e in servizio di tutte le forze armate hanno firmato lettere di sostegno simili. Il movimento ha attirato anche decine di migliaia di accademici, medici, ex ambasciatori, studenti e lavoratori dell'high-tech che hanno firmato lettere di solidarietà simili negli ultimi giorni, chiedendo anch'essi la fine della guerra.
Dopo la pubblicazione della lettera, l'esercito ha deciso di licenziare ogni riservista in servizio attivo che l'aveva firmata, dicendo che i soldati non possono usare il "marchio dell'aeronautica israeliana" per protestare su questioni politiche.
Ma questa mossa punitiva potrebbe ritorcersi contro lo stesso establishment militare. Secondo le stime, oltre 100.000 israeliani hanno smesso di presentarsi al servizio di riserva, creando quella che gli esperti definiscono "la più grande crisi di rifiuto che l'esercito israeliano abbia affrontato in decenni".
Un numero crescente di riservisti ha smesso di presentarsi al servizio, citando esaurimento, ragioni familiari e l'onere finanziario di perdere il lavoro. La situazione è diventata così critica che il numero di israeliani che continuano a presentarsi per il servizio di riserva è sceso così tanto che l'esercito ha fatto ricorso ai social media per cercare di reclutare persone per continuare a servire.
La protesta di stasera arriva in un momento cruciale. Il primo ministro israeliano sta spingendo per prendere il controllo del più grande centro urbano di Gaza nonostante un'ondata di critiche globali. Il primo ministro Benjamin Netanyahu dice che Israele pianifica di allargare la sua prossima offensiva oltre Gaza City alle ultime aree non ancora sotto controllo israeliano, dove la maggior parte dei 2 milioni di residenti di Gaza ha cercato rifugio mentre il territorio scivola verso la carestia.
Un alto funzionario delle Nazioni Unite ha avvertito il Consiglio di Sicurezza dell'Onu che il piano di Israele di impadronirsi di Gaza City rischia "un'altra calamità" nella Striscia di Gaza con conseguenze di vasta portata.
"Il rifiuto arriva a ondate, e questa è l'ondata più grande dalla Prima Guerra del Libano nel 1982", spiega Ishai Menuchin, uno dei leader del movimento dei renitenti Yesh Gvul ("C'è un limite") fondato durante quella guerra.
Il parallelo con il 1982 non è casuale. La Prima Guerra del Libano segnò un punto di svolta nella società israeliana, quando per la prima volta un numero significativo di soldati si rifiutò di partecipare a quella che percepivano come una guerra ingiusta e politicamente motivata. A questo proposito vedasi anche l'articolo de Il Giornale d'Italia relativo al mio ultimo romanzo, "Il fornaio libanese".
La campagna ricorda anche le amare divisioni scoppiate all'inizio del 2023 sui tentativi del governo di riformare pericolosamente il sistema legale israeliano, che molti dicono abbia indebolito il Paese e incoraggiato l'attacco di Hamas.
"È cristallino che il rinnovamento della guerra è per ragioni politiche e non per ragioni di sicurezza", ha dichiarato Guy Poran, un pilota in pensione che è stato uno degli iniziatori della lettera dell'aeronautica militare.
"È completamente illogico e irresponsabile da parte dei politici israeliani... rischiare le vite degli ostaggi, rischiare le vite di più soldati e rischiare le vite di molti, molti più palestinesi innocenti, mentre aveva un'alternativa molto chiara", ha aggiunto Poran.
Nonostante la nuova offensiva per riconquistare territori già largamente distrutti dall'esercito israeliano, il dissenso sta guadagnando terreno. Lettere aperte di protesta contro la guerra da parte di unità militari e riservisti che si rifiutano pubblicamente di presentarsi al servizio stanno diventando più frequenti: "C'è stata una crescita costante di renitenti dall'7 ottobre", ha detto Nimrod Flaschenberg, un analista politico e portavoce di Mesarvot. "Abbiamo visto un aumento esponenziale di sedicenni e diciassettenni che si rifiutano di servire di recente. Ci sono circa un centinaio che fanno circolare una lettera aperta, tutti rifiutando il servizio e spiegando perché".
La protesta di stasera rappresenta molto più di un semplice dissenso militare. È un'indicazione dell'erosione dell'ethos in questa particolare guerra, secondo Eran Halperin, esperto in psicologia sociale dell'Università Ebraica di Gerusalemme.
Un movimento di protesta crescente all'interno delle riserve potrebbe potenzialmente influenzare la capacità dell'esercito israeliano di condurre una campagna estesa a Gaza. E questo è esattamente ciò che teme Netanyahu: che la verità sulla natura politica di questa guerra emerga non dalle voci dei giornalisti palestinesi assassinati, ma dalle coscienze dei soldati israeliani.
Stasera, nelle strade di Tel Aviv, la storia si ripeterà. Come nel 1982 in Libano, sono gli stessi soldati israeliani a denunciare l'orrore di una guerra che i loro leader hanno trasformato in uno strumento di potere politico.
Ma questa volta la posta in gioco è più alta. Questa volta, mentre i piloti protestano nelle piazze di Tel Aviv, i loro colleghi in servizio continuano a sganciare bombe sui giornalisti che documentano il genocidio a Gaza. Questa volta, il dissenso interno israeliano arriva mentre il mondo assiste in silenzio al più grande massacro di reporter della storia contemporanea.
Di Eugenio Cardi
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