06 Agosto 2025
Netanyahu e riservisti Fonte: Infoaut
La decisione del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu di occupare l'intera Striscia di Gaza, già messa in discussione dai vertici delle Idf, sta sollevando forti perplessità anche tra i riservisti, "che dovrebbero essere la punta di diamante" dell'operazione: “Siamo al collasso”, dichiarano. “I reduci di guerra non ricevono cure adeguate, sanno che non vivranno a lungo”, denunciano alcuni.
L’idea di un’occupazione totale della Striscia di Gaza, spinta dal premier Benjamin Netanyahu, non trova soltanto freddezza tra i vertici militari israeliani, ma incontra una crescente opposizione tra i riservisti, colonna vertebrale delle forze armate. È quanto emerge da un'inchiesta di Channel 12, che raccoglie testimonianze allarmanti: tra chi presta servizio c’è “una chiara motivazione a continuare a contribuire, ma anche rabbia, confusione e un senso di grave esaurimento”.
Le organizzazioni dei riservisti denunciano condizioni insostenibili sul piano operativo e umano. A pesare è la carenza cronica di personale e la disomogeneità nei carichi di servizio. A questo si aggiungono, secondo le critiche, piani militari “distanti dalla realtà”. Un’accusa pesante arriva dal maggiore generale Yonatan Shalev, ex combattente della Magellan e fondatore dell’associazione Shoulder to Shoulder, che condanna duramente la linea del governo. “Durante una guerra feroce, la macchina dell’evasione lavora a pieno ritmo”, ha affermato. “Quando le divisioni si stanno ancora preparando a entrare in battaglia, il governo promuove l’evasione di massa di decine di migliaia di candidati qualificati. Le Idf sono a corto di 10.000 combattenti e Boaz Bismuth riceve ordini dagli attivisti ultra-ortodossi. Noi diciamo: non accadrà sotto i nostri occhi”.
Il riferimento è al controverso disegno di legge che esenterebbe gli ebrei ortodossi dal servizio militare proprio mentre si discute un’estensione del genocidio a Gaza. Una proposta che ha inasprito il clima all’interno della società israeliana, esasperando chi è già in prima linea da mesi.
Alon Tirer, presidente del movimento Giovani in Israele, denuncia un carico di servizio sempre più insostenibile: “Il numero di 400 giorni di servizio di riserva è già diventato la norma per molti di coloro che prestano servizio, e il prezzo personale, economico e familiare che pagano è insopportabile. Non possiamo continuare a caricare il peso della sicurezza su quei pochi e aspettarci che portino il Paese sulle loro spalle da soli”.
Alla frustrazione operativa si somma quella sociale. Rotem Avidar Tsalik, avvocato e fondatore di Servants Lobby, lancia un grido d’allarme: “Lo Stato di Israele sta affrontando sfide di sicurezza senza precedenti, ma continua a comportarsi come se avesse un numero infinito di combattenti. Gli stessi riservisti vengono reclutati ripetutamente, fino allo sfinimento, al punto da danneggiare i mezzi di sussistenza, al punto da causare il collasso delle famiglie”. E aggiunge: “I politici parlano di ampliare gli obiettivi, ma non di ampliare l’esercito. Di manovre, ma non di rinforzi. È ora di dire la verità: senza ampliare la cerchia di coloro che prestano servizio, non saremo in grado di assolvere i compiti che lo Stato di Israele si assume. Volete conquistare Gaza? Iniziate a reclutare”.
Il movimento To the Flag conferma il proprio impegno: “I militari in servizio pubblico e le loro famiglie continueranno a difendere la sicurezza di Israele”. Ma avverte: “È giusto che lo stesso governo che cerca di richiamarci e di mandare le Idf in una guerra di Sisifo faccia tutto il possibile per mobilitare immediatamente tutti e rafforzare le Idf, e non promuovere leggi illusorie di evasione che le indeboliranno”.
Nel frattempo, sul fronte interno, esplode un'altra emergenza: quella dei reduci affetti da disturbi post-traumatici. Decine di ex combattenti israeliani stanno protestando da giorni davanti all’ufficio riabilitazione del ministero della Difesa a Petah Tikva, chiedendo pari diritti rispetto ai feriti fisici. La protesta si è intensificata dopo l’aumento preoccupante dei suicidi tra i riservisti: 16 casi dall’inizio del 2025.
“Ogni soldato che non riceve cure adeguate sa che non vivrà a lungo”, ha dichiarato Orel Alikashvili, ex militare della Brigata Golani. Dello stesso avviso Omer Amsalem, riconosciuto con un’invalidità mentale del 50%: “Ci danno solo pillole, ci preferiscono dentro una bara”. I manifestanti hanno allestito tende davanti alla sede del ministero e assicurano che non se ne andranno finché non ci sarà un vero cambiamento.
Il ministero ha replicato affermando che oltre il 33% dei feriti seguiti soffre di Ptsd e che il budget destinato a queste cure ha superato i 4 miliardi di shekel.
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