Volodymyr Zelensky ha firmato martedì 22 luglio una legge che pone le due principali agenzie anticorruzione ucraine, Nabu e Sapo, sotto il controllo del procuratore generale, di sua diretta nomina. L’uomo scelto, Ruslan Kravchenko, è un fedelissimo, che potrà, secondo la norma firmata, bloccare o riassegnare indagini, di fatto azzerando l’indipendenza di quegli stessi organismi creati nel 2014 per arginare la corruzione dilagante in Ucraina.
Questa mossa ha scatenato l’immediata reazione popolare: per la prima volta in tre anni di ostilità, migliaia di cittadini da Kiev a Leopoli, da Odessa a Dnipro, sono scesi in piazza contro un presidente che accusano di aver tradito lo spirito democratico. Le immagini dei cortei mostrano cartelli contro Zelensky, accuse di accentramento autoritario, e veterani dell’esercito che prendono le distanze da quello che definiscono un "potere ormai incontrollato".
Anche la comunità internazionale ha espresso forte preoccupazione. Ursula von der Leyen ha chiamato Zelensky per chiedere chiarimenti e ribadire che lo stato di diritto non è negoziabile per un Paese candidato all’ingresso nell’Ue. Simile la reazione del G7 e del governo ceco, che ha ammonito Kiev: "Il nostro sostegno non è un assegno in bianco". Varsavia ha parlato di "ritorno ai vecchi tempi della corruzione".
Solo dopo la bufera, il presidente ucraino ha fatto dietrofront: ha promesso una nuova legge entro due settimane, assicurando che "nessuna interferenza russa" comprometterà le indagini.