18 Febbraio 2025
Meloni, fonte: imagoeconomica
Durante la Guerra Fredda, l'Italia era un paese di confine. Rientrava certamente nella sfera d'influenza di Washington e faceva parte della NATO, ma per decenni Roma aveva mantenuto la capacità di dialogare con il mondo del Medio Oriente e anche con l'Europa dell'Est. Si può tornare indietro alla figura di Enrico Mattei, che insisteva sui rapporti economici con i paesi oltre la Cortina di Ferro e nel mondo arabo, seguendo la sua politica di sfida alle grandi compagnie petrolifere inglesi e americane. Si può anche citare la politica di Giulio Andreotti e Bettino Craxi a sostegno dei palestinesi.
Insomma, per molto tempo l'Italia era sì schierata con l'Occidente, ma non aveva paura di perseguire iniziative più indipendenti, agendo anche da ponte verso paesi visti come antagonisti nelle capitali come Londra e Washington.
Sulla Russia, non si può ignorare il ruolo di Silvio Berlusconi che, pur essendo un conservatore e non stancandosi di affermare la sua concezione della libertà in opposizione al comunismo, sviluppò un rapporto stretto con Vladimir Putin, attirandosi l'ira di alcuni centri di potere occidentali. Ho avuto modo di parlare con politici che hanno ricevuto offerte di sostegno dall'estero per contrastare Berlusconi proprio a causa della sua insistenza sull'asse con la Russia.
I governi successivi hanno attuato un cambiamento graduale, seppure con alcune eccezioni. Monti ha seguito una linea di establishment atlantico, mentre Enrico Letta si è concesso qualche strappo, come la partecipazione alle Olimpiadi di Sochi nonostante le pressioni dei colleghi europei. Matteo Renzi ha cercato di frenare le sanzioni contro la Russia, mentre i governi di Giuseppe Conte, pur partendo da una posizione più aperta verso Mosca, hanno infine adottato una linea di "responsabilità" in politica estera.
L'establishment ha gioito per l'arrivo di Mario Draghi a Palazzo Chigi, naturalmente. Non solo perché considerato affidabile sul piano economico (anche se poi avrebbe leggermente corretto la rotta per abbracciare l'idea degli investimenti e del "debito buono"), ma anche per il suo chiaro allineamento atlantico in politica estera. Inizialmente, Draghi ha mantenuto un approccio prudente, allineandosi alle sanzioni ma auspicando al contempo una soluzione diplomatica alle tensioni tra Russia e NATO.
Con lo scoppio della guerra, però, le reticenze sono scomparse: linea dura nei confronti della Russia, con pieno sostegno al tentativo di isolamento economico e all'invio di armi a Kiev. Della tradizionale "ambiguità" italiana – ovvero la volontà di non schierarsi apertamente contro i presunti avversari dell'Occidente – rimaneva ormai ben poco.
Con l'arrivo di Giorgia Meloni, la situazione si complica ulteriormente. Quando era all'opposizione, Fratelli d'Italia aveva criticato duramente le sanzioni, invocando la necessità di sostenere le tante imprese penalizzate dalla riduzione degli scambi commerciali. Una volta al governo, invece, tutto lo schieramento di destra è diventato "responsabile". Perfino la Lega, con Salvini che non ha mai smesso di esprimere critiche, ma che nei fatti ha sempre votato a favore dei provvedimenti per l'Ucraina.
Il colpo di scena arriva con l'elezione di Trump. Tutti sapevano che avrebbe aperto una trattativa con Putin per trovare una soluzione negoziata al conflitto. Eppure, molti in Europa ora si indignano di fronte alla volontà di Washington di raggiungere un compromesso con Mosca, lanciando critiche che spaziano dal "non si può fare" alle accuse di "appeasement" paragonato all'acquiescenza a Hitler nel 1938. Salvo poi offendersi quando Trump non si fida di loro e li esclude dalle trattative.
Forse Giorgia Meloni potrà ritagliarsi un po' di margine di manovra, grazie al rapporto favorevole con Trump e alle sue posizioni precedenti di critica alla linea della NATO. Ma l'Italia di oggi non è quella di sessant'anni fa, né quella di vent'anni fa. Tra le pressioni internazionali e la necessità di essere accettata dall'establishment occidentale, ha ridimensionato quel ruolo di ponte che, in passato, le aveva permesso di esprimere posizioni più indipendenti.
di Andrew Spannaus
Il Giornale d'Italia è anche su Whatsapp. Clicca qui per iscriversi al canale e rimanere sempre aggiornati.
Articoli Recenti
Testata giornalistica registrata - Direttore responsabile Luca Greco - Reg. Trib. di Milano n°40 del 14/05/2020 - © 2025 - Il Giornale d'Italia