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L’Ue si arrocca minacciando chi non sposa la linea di maggiore integrazione sovrannazionale

Escludere l’Italia riflette il tipico atteggiamento a Bruxelles, ma apre rischi per il futuro

27 Giugno 2024

Ursula von der Leyen

Ursula von der Leyen (fonte: Lapresse)

Per quasi due anni Giorgia Meloni ci ha provato. È diventata amica di Ursula von der Leyen, incontrandola spesso e cercando di dare all’Italia un ruolo maggiore nei giochi politici di Bruxelles. Un’illusione, pare, dal momento che il Partito dei Conservatori e Riformisti europei (ECR), di cui Meloni è presidente, non ha vinto abbastanza voti per essere decisivo negli equilibri del potere. Piuttosto la nuova Commissione punterà sulla solita grande coalizione tra popolari e socialisti, tenendo fuori quella che viene definita “l’estrema destra”, accomunando l’ECR a Identità e Democrazia, gruppo di cui fa parte la Lega e il Rassemblement National di Marine Le Pen.

L’approccio è stato spiegato da Iratxe Garcia Perez, l’eurodeputata spagnola riconfermata alla guida del gruppo dei socialisti europei: non esiste un'estrema destra “light”, da quella parte sono tutti uguali in quanto vogliono distruggere il progetto europeo dall’interno. Spetta comunque al Partito Popolare Europeo condurre le danze per consolidare il nuovo esecutivo, ma ad Ursula von der Leyen il messaggio è chiaro: qualsiasi accordo verso destra significa perdere ancora più voti dall’altra parte.

In più, dai corridoi di Bruxelles arriva una minaccia non troppo velata: portare avanti istanze politiche, piuttosto che rimanere nei giochi istituzionali, mette a rischio la posizione italiana a livello economico, considerando un possibile aumento dello spread sui titoli del debito pubblico. Insomma, attenti ad alzare la voce, in quanto la Commissione tiene il coltello dalla parte del manico.

Non sorprende che i partiti che hanno dominato la politica europea negli ultimi anni decidano di mantenere una sorta di cordone sanitario verso chi ha posizioni diverse. C’è da chiedersi, però, quanto sia intelligente. Infatti, la crescita degli altri partiti è comunque indice di un livello di sostegno popolare significativo per chi mette in discussione il modo in cui è proseguita l’integrazione europea negli ultimi decenni. Finora questa strategia dell’esclusione ha essenzialmente funzionato, nel senso che le formazioni critiche hanno di fatto moderato le loro posizioni, accettando l’idea di lavorare all’interno della cornice europeista attuale, ma cercando di portare avanti le proprie idee di riforma.

Chi vuole accelerare con gli “Stati Uniti d’Europa”, l’idea di un’unione sempre più stretta con l’eliminazione delle prerogative nazionali, può giustificarsi dicendo che bisogna difendere gli obiettivi a tutti i costi (nonostante la scarsa popolarità di questa posizione). Ma ora si rischia una maggiore polarizzazione. Uno schiaffo a chi si è moderato in questi anni sul tema europeo potrebbe alimentare una posizione più critica. Certo, il Parlamento Europeo potrà sempre contare sulla maggioranza tradizionale, seppur più piccola che in passato, ma per andare avanti l’Unione Europea conta molto sulla posizione dei governi nazionali. Creare maggiore antagonismo, pensando in questo modo di poter evitare la necessità di fare compromessi, potrebbe finire per essere controproducente.

Dallo scoppio della rivolta degli elettori con la crescita dei partiti cosiddetti “populisti”, le istituzioni europee si sono arroccate sulle proprie posizioni e non danno alcuna indicazione di cambiare. Mantenere questo atteggiamento di fronte a un aumento del sostegno popolare per chi è critico verso l’attuale struttura dell’Unione Europea potrebbe essere la strada verso una maggiore conflittualità.

di Andrew Spannaus

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