10 Giugno 2023
Yoon Suk Yeol; Fonte: Wikimedia Commons
Nella vicina Francia, si è rischiata una mini rivoluzione a Parigi, per la decisione del Governo, di portare l’età pensionabile dai 62, ai 64 anni. In Italia, alcuni sindacati nazionali, in particolare la CGIL, guidata da Maurizio Landini, promettono un giorno sì ed un giorno pure, fuoco e fiamme, scioperi e mobilitazioni, per i più svariati motivi, a partire dal precariato, al salario minimo ed al reddito di cittadinanza. Tutti argomenti che toccano da vicino, il nervo scoperto di politiche del lavoro, prevalentemente assistenziali, quali quelle che hanno caratterizzato le strategie dei sindacati, negli ultimi 50 anni.
Parlare oggi di tutte le responsabilità che hanno gonfiato a dismisura il debito pubblico italiano e che sono all’origine delle nostre attuali difficoltà economiche e soprattutto politiche, è molto difficile. Entrano in questo enorme paniere, un po’ tutte le categorie politiche, economiche e sociali. Gli industriali innanzitutto che, come dimostrano le attuali penose vicende ereditarie della famiglia Agnelli, hanno occultato ingenti patrimoni all’estero, i politici al Governo, poi, che hanno privilegiato il facile consenso elettorale, rispetto alle strategie di crescita dell’Italia, basate su meritocrazia, impegno e professionalità. Certamente i sindacati che, invece di occuparsi seriamente dei problemi dell’occupazione e dei salari dei lavoratori, hanno spaziato nella grande politica, sostenendo sempre i cosiddetti “diritti” ed ignorando completamente i “doveri”.
È stata confusa la funzione sociale dell’impresa, che i nostri padri hanno teorizzato e messo in pratica nel dopoguerra e che è stata alla base del miracolo economico italiano, con la garanzia di un posto di lavoro, a basso ritorno di produttività. A ciò vanno aggiunti gli enormi errori di pianificazione dei governi, a partire dall’uscita dal nucleare, che ci è costato come il 50% dell’attuale PNRR, per continuare con la svendita delle aziende a partecipazione statale a gruppi privati, che le hanno gestite assai peggio. Basti pensare alla STET, alla SME ed alle Autostrade. Infine, Mani Pulite, che ha azzoppato alcuni settori imprenditoriali, simboli allora del made in Italy, quali impiantistica, chimica, imprese di costruzione ed imprese farmaceutiche, in modo particolare.
In questo scenario, che impone un immediato cambiamento di rotta, innanzitutto culturale e poi di gestione della cosa pubblica, è arrivata in Europa, come una bomba, la notizia che, nella piccola Corea del Sud, con una popolazione di 52 milioni di abitanti ed una superficie pari a 1/3 di quella dell’Italia, nei giorni scorsi il Governo, ha proposto di innalzare la settimana lavorativa da 52 a 69 ore. Attualmente i sud coreani lavorano in media 1915 ore all’anno, ben oltre la media dei paesi Ocse, che è di 1.661 ore. Non si può, per il momento, prevedere se questa proposta andrà in porto. È chiaro però, che il solo fatto che sia stata avanzata, dimostra quale diverso e certamente esagerato e probabilmente inaccettabile, approccio ai problemi del lavoro, esiste in quel paese, rispetto al mondo occidentale. D’altronde questa è la loro realtà! Realtà che va in parallelo con il fatto che, in Corea del Sud, operano rilevanti aziende, presenti sul mercato internazionale: Samsung, Hyundai, LG Electronics, SK, fra le tante, che fanno di quella nazione una protagonista mondiale, nei settori chiave, tra gli altri, dell’elettronica, dell’automotive, delle costruzioni, dei tessili e dell’aeronautica.
Sarebbe interessante conoscere il pensiero di Landini al proposito, magari nel corso di una delle tante oceaniche manifestazioni di piazza, che il suo sindacato ha dichiarato di voler organizzare, da qui alla fine dell’anno!
di Pierfranco Faletti
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