03 Luglio 2022
Libia in rivolta per inflazione, polizia in fuga, a fuoco gli archivi in Parlamento
A Tobrouk la popolazione ha assaltato la sede del Parlamento Nazionale e la polizia armata si è ritirata lasciando al popolo la rabbia e il saccheggio degli uffici vuoti, mandando a fuoco gli archivi: le fiamme hanno distrutto molti locali del Parlamento invaso da una folla inferocita, mentre a Misurata, lungo la costa, la popolazione ha distrutto i palazzi amministrativi. La furia imperversa anche nelle città desertiche come Sabha, nella Fezzan desertico.
A Sirte e a Bengasi il fuoco ha lasciato spazio agli spari di fucile mentre a Tripoli le dimostrazioni sono state più miti. Singolare è la presenza dei gilet gialli anche nel Nord Africa libico. La differenza è che in Libia non c'è un vero e proprio governo ma forse di potentati che si contendono un governo mai divenuto democratico è sempre sostenuto con la legge del più forte. Gheddafi aveva già annunciato il caos che avrebbe governato la sua terra se lui fosse caduto e lo aveva fatto profetizzando all'occidente l'invasione dei migranti.
Questa volta la rabbia popolare non è del tutto autonoma ma è fomentata da varie fazioni politiche alcune anche filo occidentali.
Quello che lascia a bocca aperta È che tuttavia la popolazione motivi per essere presa dalla rabbia ne ha a bizzeffe: dall'inflazione dilagante che sta riducendo alla fame la popolazione che invece è sotto Gheddafi godeva di benessere, alla crisi del petrolio nel paese che tra i maggiori esportatori di petrolio al mondo.
Tutto ciò ha causato il blocco dell'elettricità nella maggior parte delle città libiche dove è scoppiata la rivolta. La National Oil Corporation infatti ha dovuto dichiarare una crisi dovuta a cause di forza maggiore e le forniture di petrolio si sono interrotte in gran parte dei giacimenti. La popolazione ha provveduto ad occupare gran parte degli impianti di estrazione petrolifera creando così un problema di sicurezza nazionale e internazionale.
Il rischio è che tra gli occupanti ci siano anche elementi legati al terrorismo islamico oppure ha potentati che intendono arricchirsi dal caos generato estraendo e vendendo petrolio. Non a caso le casse statali nelle ultime settimane hanno perso 3 miliardi di euro e l'esportazione è calata di 865.000 barili al giorno provocando l'aumento del prezzo del greggio.
La Libia è lasciata a se stessa in un caos dove tutti lottano per prendere il potere e nessuno ci riesce mai davvero. I potentati che cercano di contendersi il potere è il Parlamento di Tobruk, con l'ex Ministro dell'Interno Fathi Bachaga sostenuto dal maresciallo Khalifa Haftar e il governo di unità nazionale a Tripoli guidato da Abdel Hamid Dbeibah.
Il caos libico è diventato un problema spinoso anche per l'ONU che, pur avendo tentato degli accordi diplomatici insieme alla Germania che ha chiesto al governo libico di ricominciare le esportazioni, Non è riuscito a giungere a nulla. Tuttavia l'inviata delle Nazioni Unite in Libia Stefani Williams ha condannato gli incendi nel palazzo del governo di Tobruk bollandoli come "atti vandalici".
La popolazione di Tripoli considera il premier dei Bach come un ladro e questo costringerebbe le dimissioni di tutti e un nuovo ritorno alle urne. In effetti il 24 dicembre si dovrebbe tornare al voto, ma le elezioni sono state annullate. E così il Parlamento ha designato Bachaga al suo posto fino a che non si fosse tornati nuovamente alle urne, una situazione che ha causato una lotta aperta tra i due potentati.
Il sentimento popolare tuttavia sarebbe quello di mandare a Ferro e fuoco tutti i partiti esistenti in Libia e di creare una forza politica popolare che prende il sopravvento e venga eletta alle elezioni. Una sorta di democrazia dal basso volta a risolvere i problemi che gli attuali partiti hanno creato anche attraverso una corruzione dilagante.
Maria Melania Barone
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