La scrittrice e poetessa Edith Bruck, sopravvissuta alla Shoah, è intervenuta sul conflitto in Medio Oriente. Bruck, 94 anni, ungherese naturalizzata italiana, è una delle ultime testimoni viventi dell’Olocausto: deportata ad Auschwitz a 13 anni, ha poi fatto della memoria e della parola i cardini del suo impegno civile.
"Credo che ci debba essere il riconoscimento dello Stato palestinese prima o poi, altrimenti non ci sarà mai fine a questo odio, a questa violenza", afferma. Si dice favorevole alla soluzione dei due Stati, con una chiara condanna dell’occupazione israeliana: "Il governo di Israele dovrebbe lasciare i territori della Cisgiordania".
Ma è sul termine genocidio che Bruck fa dietrofront. "Questo è un massacro spaventoso, ma parlare di genocidio significa sminuire il valore di questa parola e di quello che è accaduto con i nazisti". Secondo lei, lo sterminio degli ebrei fu pianificato con metodo e scientificità: "Era stato studiato a tavolino da medici, scienziati, architetti". La guerra a Gaza, pur drammatica, sarebbe un’altra cosa.
Sul piano giuridico, però, la definizione di genocidio adottata dalle Nazioni Unite comprende anche "atti commessi con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale". E diverse corti e organismi internazionali, tra cui la Corte Internazionale di Giustizia, hanno condannato Israele proprio alla luce di questo concetto.
La richiesta finale di Bruck è di una “pace vera, senza schierarsi”: ciò stride con un conflitto in cui gli equilibri di potere sono profondamente asimmetrici. E il rischio, come per il termine genocidio, è che l’appello alla moderazione si trasformi in una forma di silenziamento.