27 Dicembre 2025
Un rimbalzo che non cancella le crepe
Il mese di luglio 2025 ha riportato un po’ di ossigeno al mercato dell’auto europea. Le nuove immatricolazioni nell’Unione segnano un +7,4%, che diventa +5,9% includendo Regno Unito ed EFTA. Dopo il tonfo di giugno, il dato appare incoraggiante. Ma lo sguardo lungo racconta altro: nel periodo gennaio–luglio 2025 il mercato resta in lieve contrazione. La ripresa c’è, ma è fragile, disomogenea e insufficiente a compensare anni di erosione strutturale della domanda.
La geografia delle alimentazioni
Il dato più rilevante riguarda i tipi di motorizzazione. Le ibride dominano ormai il mercato europeo, superando un terzo delle vendite. È una scelta pragmatica degli automobilisti, più che ideologica: costi gestibili, infrastrutture non vincolanti, tecnologia matura. Le elettriche pure (BEV) crescono, ma restano lontane dalle ambizioni politiche di Bruxelles. La transizione procede, ma a un ritmo che il mercato — non la normativa — considera sostenibile.
Il declino dei motori tradizionali
Benzina e diesel continuano a perdere terreno, scendendo sotto il 40% complessivo. È una trasformazione storica, ma non indolore. Queste motorizzazioni hanno garantito per decenni occupazione, filiere industriali e competenze. Smantellarle troppo in fretta ha avuto un costo sociale e produttivo che oggi emerge con chiarezza.
I gruppi europei: leader stanchi
Il Gruppo Volkswagen resta il perno dell’industria continentale, con risultati complessivamente positivi, trainati da marchi dinamici come Cupra e Skoda. Ma il segnale più inquietante non sta nelle vendite, bensì nelle decisioni industriali: la chiusura dello storico sito di Dresda è un campanello d’allarme geopolitico prima ancora che industriale. Stellantis, secondo player europeo, paga invece una fase di riposizionamento che guarda sempre più agli Stati Uniti, mentre l’Europa perde centralità strategica.
La pressione cinese
Sul mercato avanzano con forza i costruttori cinesi. SAIC consolida la presenza, BYD cresce a ritmi esplosivi. Non è solo una questione di prezzi: Pechino ha costruito un ecosistema industriale integrato, sostenuto dallo Stato, capace di competere su tecnologia, volumi e tempi. L’Europa, al contrario, ha spesso confuso la regolazione ambientale con una politica industriale.
Il caso Tesla: fine di un’egemonia
Il crollo delle immatricolazioni Tesla è un segnale simbolico. Il marchio che incarnava l’avanguardia elettrica paga ora concorrenza, saturazione e limiti di una gamma poco rinnovata. Anche questo dimostra che l’elettrico non è una religione, ma un mercato, e come tale segue logiche di domanda reale.
Il 2035 rivisto: svolta o ammissione di realtà
La decisione della Commissione Europea di ammorbidire il target del 2035 segna un cambio di paradigma. Il principio di neutralità tecnologica rientra dalla finestra dopo essere stato escluso dalla porta. I motori a combustione non spariscono, ma vengono integrati con biocarburanti ed e-fuel. È una scelta di realismo, maturata sotto la pressione di Germania e Italia, ma arriva tardi e in un contesto già compromesso.
Il vero nodo: l’industria
La domanda centrale non è ambientale, ma industriale e geopolitica: tra dieci anni esisterà ancora un’industria auto europea competitiva? Dal 2019 al 2024 il mercato ha perso tre milioni di unità. Senza volumi, un settore ad alta intensità di capitale non sopravvive. Le norme, rigide o flessibili, non creano competitività. La creano innovazione, produttività, investimenti e domanda.
Meno ideologia, più strategia
La revisione delle regole non basta. L’Europa deve scegliere se essere spazio normativo o potenza industriale. L’auto è solo il primo fronte visibile di una crisi più ampia. Senza una visione strategica, la transizione rischia di diventare una lenta deindustrializzazione regolata. Il realismo è un passo avanti. Ma la strada resta in salita.
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