IL CAFFÈ SCORRETTO di Montel
06 Dicembre 2022
*Diciamolo subito: TARA, in questo caso, è il costo reale dell’impegno profuso, ‘a fatiiica direbbero al Sud, il rischio che si corre per produrre un bene non-industriale, il carico di creatività necessario per far uscire da un cilindro di feltro sia conigli che colombe che sciarpe che, in caso di vero successo, l’intera bellissima assistente in calzamaglie a rete e tacchi vertiginosi.
Ma facciamo un passo indietro: in questi giorni di Finanziaria, non si fa altro che cianciare sul fatto che il Governo starebbe agevolando le piccole Partite iva, il lavoro “minuscolo e sommerso” che tiene in piedi l’Italia pre-globalizzata ma che si presta, in effetti, a essere uno strumento da mariuoli per evadere le tasse. Ma il tema, dopotutto, non è nemmeno questo: il tema è l’incostituzionalità di un diverso trattamento fiscale riservato a cittadini aventi pari diritti.
Ora, superando d’un balzo il fatto che tutti questi scrupoli la Società sedicente “civile” se li fa solo quando si tratta di palanche, quattrini, dindi, sesterzi e fiorini perché quando si tratta di offrire pari diritti a tutti i cittadini (inoculati o meno) il criterio di equità va a farsi fottere in zona Quirinale (chiedi al ragazzone statuario, quando arrivi, lui ti indicherà lo scalone giusto e ti fornirà di gel) ma…tutto ciò premesso, mi domando perché la fiscalità dovrebbe essere uguale per un dipendente a tempo indeterminato e per un parrucchiere e per un restauratore di porcellane e per una cuochina che mette in piedi un servizio di home restaurant o per un interior designer che dispone vasi e colori a casa d’altri o per una life coach che fornisce consulenze nel suo salotto piuttosto che online.
Com’è possibile gravare delle stesse percentuali di imposte i ricavi di un soggetto che la mattina entra in ufficio/fabbrica e partecipa di un ingranaggio già avviato e quelli di colui che si sveglia e deve armarsi di lancia e rete e andare a cercarsi da mangiare? Non ci sembra che il Supermercato stesso, quando elargisce il cibo già porzionato e messo sotto cellophane, stia offrendo un servizio di grande valore? E non vale altrettanto per l’impiego? Che ragioni ha un professore statale, o un operaio tessile, o un cameriere, di lamentarsi delle tasse sottratte alla fonte dal suo stipendio fisso, affidabile quantunque magari basso, se e quando, in effetti, quella formula di lavoro è l'esatto equipollente di una super-facilitazione?
Eh sì, perché la sostanziale differenza fra un qualsiasi impiego a tempo indeterminato (ma anche a scadenza) e una delle 3755674 variabili di lavoro autonomo è proprio solo questa: da un parte c’è un lavoratore che gode di una quota di acqua spillata da una fonte di proprietà altrui (tanta o poca acqua, non conta: è porzionata e consegnata quotidianamente) e dall’altra un rabdomante che cerca una fonte in mezzo al nulla, la identifica, comincia a scavare a spese sue e poi, solo se gli dice “culo”, può cominciare a bere quell’acqua che il dipendente di una società, dal più basso grado alla dirigenza, ottiene per il semplice fatto di essersi recato sul posto di lavoro.
Dunque, premesso che le persone ricche le tasse le devono pagare, TUTTE!, perché non c’è nulla di più stomachevole di un ciccione che si abbuffa a tavola davanti a un vetrina gremita da poverelli con la bava alla bocca, ciò premesso, dicevo, non sarebbe corretto asseverare una volta per tutte che non tutte le ore di lavoro sono uguali? E che non tutte le ore di lavoro andrebbero tassate in ordine al guadagno totale? Anche questo, alla luce di quanto appena chiarito, non ci sembrerebbe corretto? C’è qualcuno che pensa che un medico debba pagare mooolte meno tasse di un signore che possieda una catena di negozi? Quel qualcuno potrebbe essere anche d’accordo sul fatto che il carpentiere curato da quel medico debba a sua volta pagare meno tasse del medico, anche se in totale incamera più soldi, per il fatto che i suoi pazienti se li cerca nella jungla della vita anziché trovarseli stesi a letto, in ospedale? E quel qualcuno potrebbe negare che il nipote aspirante stilista del carpentiere, che compra stoffe e realizza abitini, dovrebbe pagare pochissime tasse fintanto che il suo lavoro non gli dia un briciolo di tranquillità?
Non sarebbe almeno onesto ammettere che se per la segretaria, l’operaio, il commesso, il rivenditore di auto, il cameriere, ogni ora si compone di 60 minuti di regole da applicare…per qualunque Partita iva un’ora è la porzione preziosa di una giornata da riempire di appuntamenti e impegni organizzati in prima persona, col rischio di non guadagnare alcunché? Questo senza dire che la Partita iva paga l’affitto del negozio, se ne ha uno, spende a destra e a manca per raggiungere il luogo di lavoro sempre diverso senza poter rifarsi di molte delle uscite, distribuendo servizi di base e benessere a terzi.
In Italia le tasse le paga solo la classe media, gli impiegati (così dice la vulgata); io aggiungo che non mi pare così grave: questi lavoratori godono di un privilegio sempre più raro: hanno la possibilità di programmarsi un futuro; quanto ai ricchi…che i ricchi paghino le tasse è affare che non ci riguarda, francamente, perché i ricchi non nascondono né le loro ville né i loro cafonissimi panfili né i loro aerei privati e quindi se lo Stato non riesce a far pagar le tasse a Bezos e compagnia evadente è perché è uno Stato inefficace e trafficone, amico del giaguaro, sempre dalla parte dei più ricchi; di certo, il problema del buco di bilancio non può essere spostato sulle piccole Partite Iva le quali, a mio avviso, compiono un atto eroico: non chiedono alla società di occuparsi di loro ma vogliono solo lavorare, portarsi a casa un po’ di pane e, nel migliore dei casi, dar del lavoro al giovane apprendista.
Se non sono loro i nuovi eroi, non saprei chi!
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