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Università di Genova, bloccate borse di studio a dottorandi e dottorande dopo proteste pro-Pal 22 settembre, Assemblea Precaria: “Ricatto”

Le risposte dell’Ateneo alle proteste pro-Pal del 22 settembre culminate con l'occupazione dell'ateneo, sono arrivate su 2 fronti: da un lato la denuncia formale degli occupanti, sostenuta dal ministro dell’Università Anna Maria Bernini; dall’altro, il blocco delle borse di studio destinate a dottorande e dottorandi, giustificato con “l’impossibilità per il personale amministrativo di accedere ai propri uffici”

08 Ottobre 2025

Università di Genova, bloccate borse di studio a dottorandi e dottorande dopo proteste pro-Pal 22 settembre, Assemblea Precaria: “Ricatto”

Università Genova Fonte: Codice Italia

Dopo le mobilitazioni e lo sciopero generale del 22 settembre, la tensione sale all’Università di Genova. A seguito dell’occupazione del rettorato di via Balbi 5 da parte di un gruppo di studenti e studentesse, l’Ateneo ha bloccato l’erogazione delle borse di studio a dottorandi e dottorande, motivando la scelta con la difficoltà del personale amministrativo ad accedere agli uffici. Una decisione che ha provocato la dura reazione dell’Assemblea Precaria Genovese, che parla apertamente di “ricatto”.

Università di Genova, bloccate borse di studio a dottorandi e dottorande dopo proteste pro-Pal 22 settembre, Assemblea Precaria: “Ricatto”

Un caso emblematico di scontro tra diritto alla protesta e gestione amministrativa arriva da Genova. Dopo giorni di mobilitazioni, assemblee e presidi seguiti allo sciopero generale del 22 settembre, un gruppo di studenti e studentesse ha occupato il rettorato di via Balbi 5, chiedendo la rescissione degli accordi con l’industria bellica, l’interruzione del bando promosso congiuntamente dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI) e dal Ministero dell’Innovazione, Scienza e Tecnologia dello Stato di Israele (MOST), nonché il sostegno alla resistenza palestinese e alla Global Sumud Flotilla.

Le risposte dell’Ateneo sono arrivate su due fronti: da un lato la denuncia formale degli occupanti, sostenuta dal ministro dell’Università Anna Maria Bernini; dall’altro, il blocco delle borse di studio destinate a dottorande e dottorandi, giustificato con “l’impossibilità per il personale amministrativo di accedere ai propri uffici”.

A condannare la scelta è l’Assemblea Precaria Genovese, collettivo di lavoratrici e lavoratori del mondo universitario e della ricerca, che considera il provvedimento un atto di pressione politica e definisce l’intera vicenda un “ricatto”. Secondo il collettivo, i ritardi nei pagamenti rappresenterebbero una strategia volta ad alimentare la tensione interna tra personale precario e corpo studentesco.

Come racconta un’attivista, “è tecnicamente inammissibile che non sia possibile erogare borse da remoto. Se vero, come non crediamo, si tratta di un dato problematico anche per possibili situazioni di emergenza cui dover far fronte. Poi c’è anche un altro fatto, più politico: il ritardo esplicitamente connesso all’occupazione fa sì che si inneschi un’inevitabile guerra tra poveri, una guerra tra precariato e chi occupa. Infatti, alcune colleghe e colleghi si sono arrabbiati con studentesse e studenti anziché opporsi alle imposizioni rettorali”.

Secondo l’Assemblea, tale dinamica di contrapposizione sarebbe “costruita di fatto attraverso una logica di minaccia materiale (e sua attuazione)”, volta a isolare le proteste pro-Palestina. Eppure, spiegano dal collettivo, “le mobilitazioni pro-Palestina si inseriscono in un percorso di lotta e rivendicazione che caratterizza anche la nostra Assemblea. Le richieste mosse da studentesse e studenti sono affini alle nostre ma, anche stavolta, queste stesse richieste non hanno trovato risposta. Noi come Assemblea denunciamo la presa di posizione del Rettore così come il suo precedente silenzio e la mancata condanna del genocidio in corso, che è sinonimo di complicità”.

Il gruppo sottolinea inoltre il legame tra la precarietà crescente nel mondo accademico, il costante definanziamento dell’università pubblica e l’ingresso sempre più massiccio di capitali privati, anche provenienti dal settore bellico. Per l’Assemblea, “la nostra precarietà è legata strettamente al fatto che l’università viene definanziata”.

La riduzione dei fondi statali, spiegano, non è un fatto neutro ma una scelta politica: “Ciò che ci viene tolto è poi destinato alla difesa e all’industria bellica, non è una questione di mancanza di risorse”. Una linea che si inserisce, secondo il collettivo, nella più ampia politica di riarmo dell’Unione Europea.

Così, l’università italiana, privata di finanziamenti pubblici, sarebbe “costretta a cercare risorse altrove”, anche tramite accordi con soggetti privati legati all’industria militare — come nel caso della Leonardo. Un processo che, denunciano, rischia di orientare sempre più la ricerca verso logiche economiche e militari.

Oggi la lotta per migliori condizioni di lavoro nel campo della ricerca e per una ricerca più libera è anche e soprattutto una lotta per la liberazione del popolo palestinese”, concludono dall’Assemblea.

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