Lo Stato italiano potrebbe essere chiamato a risarcire la famiglia di Stefano Argentino, il 27enne suicidatosi nella sua cella del carcere di Gazzi (Messina), dove era detenuto in attesa di processo per l'omicidio di Sara Campanella, la sua ex fidanzata, uccisa a coltellate nel maggio 2024 a Villafranca Tirrena.
Secondo l’avvocato Guido Stampanoni Bassi, la famiglia del detenuto suicida ha diritto a un risarcimento da parte dello Stato, poiché – come stabilito dall’articolo 2 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo – esso ha l’obbligo di tutelare la vita delle persone sotto la propria custodia. Argentino, infatti, aveva già manifestato tendenze suicidarie, ed era stato posto sotto sorveglianza speciale, poi inspiegabilmente revocata.
L’azione legale si fonda sul principio di “omessa vigilanza” da parte dell’amministrazione penitenziaria. La morte in carcere, avvenuta pochi giorni prima della prima udienza del processo, ha estinto l’azione penale e lasciato un vuoto giudiziario e morale.
E qui si apre il paradosso giuridico e umano: mentre ai familiari dell’imputato sarà potenzialmente riconosciuto un risarcimento, i genitori della vittima non potranno ottenere nulla. La morte del reo confesso prima della sentenza impedisce infatti qualsiasi azione civile diretta, a meno che i suoi familiari non accettino l’eredità (circostanza improbabile). Rimane, per la famiglia Campanella, solo la possibilità di accedere al fondo statale per le vittime di reati violenti, che prevede un indennizzo massimo di 50.000 euro – una somma simbolica, ben lontana da quanto riconosciuto in altri casi noti.