19 Febbraio 2023
Il superbonus edilizio, le fibrillazioni di Berlusconi, l'influenza di donna Giorgia, la crisi di coppia dei Ferragnez: tutti temi alti, nobili ma poi c'è la vita grama o stracciona di tutti i giorni e quella “non la puoi fermare, non la puoi recintare”. A Roma Capitale un trentenne con problemi psichici può eludere nottetempo il sonno della madre, uscire in pigiama, salire sul primo treno e arrivare a Civitavecchia dove la polizia lo trova a camminare lungo i binari, in quella sospensione impalpabile tra vivere e morire, sì che allora lo prendono e lo portano al locale prontosoccorso dove la madre si precipita, disperata, impotente: “Dov'è mio figlio? Perché non lo vedo? Che gli è successo?”. “Signora ci lasci lavorare” si sente ripondere da una faccia senza volto che non la guarda e potrebbe dirle: signora ci lasci rimediare, perché il giovane è scappato un'altra volta, se n'è uscito, agitato com'era, da un pronto intervento che lo teneva in carico e torna quando vuole lui, ore dopo un'attesa bianca che quasi uccide la madre. A quel punto glielo riconsegnano “perché ha accettato di seguire la terapia”. Ma se la segue da tutta la vita! Ma se è in cura da anni e questo gli ha permesso di restare bene o male autonomo, almeno fino a quando l'equilibrio non si è spezzato. Niente, deve tornare a casa, ci lasci lavorare e se la veda lei signora, ma lungo la strada, in auto la crisi non si placa anzi peggiora, urla pugni all'aria, ai sedili, ai vetri e deliri, deliri finché tutti anche i medici non si convincono che no, non è proprio gestibile e, per evitare guai fatali, finalmente lo ricoverano. A Roma Capitale questa volta.
“Aspetto solo di morire” mormora la madre, single, insegnante, ancor giovane ma dalla vita bruciata appresso a un figlio irrimediabile. E non ha torto, Roma col suo intrico di istituzioni, di centri, di presìdi, di affari, di disservizi è una ragnatela che ti invischia, ti blocca, ti paralizza. Ti uccide. Un figlio malato come un pacco di Amazon, con la differenza che il pacco arriva a destinazione; qui, il solito scaricabarile che trova alibi nella burocrazia infinita. Che ne sarà domani, o tra due settimane, di questo figlio sfuggito a se stesso, di questa madre che “aspetta di morire” e intanto muore ogni giorno? E non c'è cura, non c'è speranza, l'indomani la fatica vana il martirio che riparte da capo, la via crucis dei presìdi, sportelli, orari, circolari, normative, centri, misteri, disservizi, “signora ci lasci lavorare” ma non è un lavorare, è un girone dantesco di folli che ripetono che devono lavorare e, chi per forza, chi per parassitismo, ma tutti, anche i volonterosi paralizzati dalle ragioni contingenti che sarebbero il gran casino in cui nessuno si orienta e nessuno risponde più di niente, bruciano un'altra giornata. A Roma per definizione, essendo Capitale dei ministeri e delle burocrazie, ma credete che a Milano sia diverso? Per non parlare del sud inabissato dove è illogico anche solo parlarne, la mitica ARS, assemblea regionale siciliana, la istituzione più costosa e improduttiva al mondo si è aumentata nottetempo lo stipendio di 1000 euro, arrivando a un mensile che supera quello di un parlamentare romano, e tutti da destra a sinistra: “Ih? Che minchia volete? È il minimo e ce lo meritiamo”. Uno ha avvertito una cronista impicciona: vai via che ti faccio ammazzare. Un altro si è filmato mentre diceva ridendo, col modo teatrale che hanno i siculi dell'Opera dei pupi: “La verità... è che abbiamo fottuto tutti!”.
Già, ma intanto una madre oltre il limite e un figlio disarticolato e fuggiasco sono detriti allo sbando in un mare di niente e la cosa peggiore è che non si scorge terra, non si avvistano rimedi praticabili: o il ricovero-lager o la soluzione domestica che non è una soluzione e sfocia prima o dopo in “tragedia inaspettata”. Mentre servirebbe una struttura dove umanità si unisce a operatività, falli stare insieme e tienili occupati, trovagli che da fare. Ma nel gran bordello romano dove ogni sportello si sente un po' un ministero, chi se la prende la briga? Chi scrive segue il caso anche personalmente, per ragioni di conoscenza e di amicizia, ma, non vivendoci a Roma, non ha risposte: forse qualcuno potrà indicare suggerimenti, alternative, o forse l'unica soluzione è da reperirsi in un altrove lontano, da qualche parte nella provincia torpida dove però sopravvive qualche barlume di solidarietà, qualche lacerto di coesione sociale. Io li ho visti, madre e figlio, seduti sulle seggiole di plastica di un bar senza estate, e il tramonto romano, così dolce, così languido, li schiacciava. Poi si sono alzati, trascinandosi via parevano galleggiare sull'immenso casino di macchine, di rumori, di stridori, di grida, di parole, di facce senza volto, di ore senza tempo, finché sono diventati due puntini e poi scomparsi, inghiottiti nel vuoto e nel caso di una città che nega se stessa, che non è unione di viventi ma bolgia di dannati senza colpa e senza redenzione.
Uno di quei momenti, di quelle visioni che sono peggio di una coltellata e non te le togli più dall'anima. Ma quello che è più brutto è che siamo costretti a mandare messaggi in bottiglia, ad affidarci al caso e al buon cuore di chi, forse, non sia mai detto, una soluzione ce l'ha. Che non risponda sempre “ci lasci lavorare” ma ti aiuto, mi faccio carico perché questo è il mio lavoro. Cara amica, tu muori ogni giorno aspettando di morire ed io raccolgo la disperazione tua, di tanti come te sotto qualunque cielo, una disperazione a perdere, figlia dell'isolamento che nessuno vede, neanche il papa Bergoglio: “La carità sia concreta” ha detto: si riferiva all'Ucraina, alla Turchia, alla Siria. Giusto, sacrosanto ma anche Roma può essere Turchia, basta viverci, sottoviverci dal lato sbagliato e nessuno ti vede, nessuno si accorge che, bene o male, ci sei anche se muori per sopravvivere.
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