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"La libertà innanzi tutto e sopra tutto"
Benedetto Croce «Il Giornale d'Italia» (10 agosto 1943)

Se i liceali italiani si paragonano a quelli iraniani

Uno striscione, pazzesco, al "venerdì contro Giorgia Meloni" che ha sostituito quello "contro il riscaldamento globale": "l'Italia come l'Iran". A questo punto, possiamo dire che è tutto inutile, che la guerra per la logica, la decenza, la dignità, il senso di realtà, è irreversibilmente perduta.

19 Novembre 2022

Striscione giovani "contro Meloni"

Noi giornalisti facciamo rima con qualunquisti, dopodichè la realtà ci supera. Quante volte per criticare i giovani fannulloni gli rinfacciamo di occuparsi solo dei loro genitali e mai, per dire, dei connazionali iraniani che hanno problemi diversi, per esempio sopravvivere? Bene, i cari giovani ci hanno smentito e la realtà ci ha superato. Perché, effettivamente, i liceali in sciopero del venerdì,, giornata consacrata “alla lotta”, prima contro l'inquinamento, poi contro Giorgia Meloni, dei colleghi iranici si occupano e come: “Italia come Iran” si leggeva su uno striscione portato in processione in queste proteste dalle Alpi a Capo Passero. Uno striscione di merda, e va già bene che non abbiano scritto: Italia peggio dell'Iran (ma, vedrete, ci arriveremo).

Questo non è solidarizzare: è la più becera, infame, lercia, fetente, vergognosa delle bugie. È disprezzo della vita e della morte altrui. È razzismo. Alessandro Sallusti, che pure non ci va leggero, la mette sull'ignoranza bestiale; per me sanno quello che dicono e sono solo delle sporche carogne. Del resto, mai si erano presi a cuore alcuna causa che non fosse loro stessi, mai li avevamo sentiti denunciare una teocrazia dove si muore per una ciocca di capelli; dove gli omosessuali, le lesbiche, i trans vengono falciati per il solo fatto di esistere. Per questi falliti, abortiti a nascere, tutto succede in funzione loro, le guerre, le sciagure, le dittature lontane, le catastrofi più o meno naturali. Sono capricciosi, involuti, alienati, credono che la democrazia sia l'impunità dopo l'insulto, come Saviano, o dopo il vandalismo, come le piccole terroriste che la neolingua del politicamente corretto definisce “attiviste climatiche”. Si sentono più martiri di chi per un velo appena storto viene ucciso mentre sbandierano acconciature improbabili e sesssualità ancor meno plausibili: non ci credono, è ovvio, è solo un modo per rivendicare attenzione, suscettibile di modifiche in corso d'opera, così da non doversi mai compromettere davvero. Se adesso tirano fuori un paragone, inaccettabile e menzognero, con gli studenti di Teheran, è per tutt'altri motivi: onanismo psichiatrico; arroganza da privilegiati; arrivismo da parassiti; obbedienza a ciò che il Partito vuol sentire e il Partito è uno solo. Quello.

Infatti, puntuale, è piovuto l'apprezzamento dei mammasantissima: Zingaretti, Letta, col contorno di sottointellettuali zdanoviani, di quelli che, oltrepassata l'afasia, si esprimono solo a vocali invertite, asterischi, versi, risucchi, rutti. Vogliono essere coccolate, le nostre nullità puberali. Vogliono rispetto: se le chiami a termini anagrafici accusano “il trauma”, se gli neghi la fluidità esistenziale, che sarebbe “non mi identifico in niente, che poi non si sa mai”, si fanno venire l'angoscia, la sola idea di impegnarsi in qualcosa che non sia ludico, che costi un barlume di fatica, li atterrisce, però si considerano più torturati di quelli che convivono con la prospettiva di venire presi, da un momento all'altra, in casa, a scuola, per strada, e portati via, portati in una galera iraniana da cui non uscire se non coi piedi avanti. Vogliono il diploma liceale e perfino “il diritto alla laurea”, come li aizza la degna icona Dacia Maraini, degna bisnonna senza nessun merito a parte portarsi addosso un cognome che pesa per la vita. Il merito! Orrore, vade retro: “No alla scuola del merito!”, berciavano i mocciosi col pugnetto chiuso caricato a molla. Facevano prima a dire “No alla scuola” e basta, risparmiavano termini, metri di striscione e CO2. Ma guardala, questa peggio gioventù antimeritocratica, antitutto: solo un ballare e stamburare da rave party, un gracchiar di megafono, afasico, incomprensibile, facce senza volto, sguardi smerigliati: per forza il merito l'odiano e lo temono. Se non sanno neanche fare una “O” con un bicchiere. Allo stesso tempo, si rivendicano gli unici meritevoli a stabilire cosa è giusto, a spaccare in due la mela dell'etica, a decidere chi deve parlare, chi possa entrare nei loro istituti, negli atenei. Ragliano di fascismo, di merito, e neanche sono in grado di risalire all'etimo. Sono totalmente deprivati di qualsiasi riferimento, castrati di cognizioni storiche, evirati di strumenti analitici; ovvero sono come la scuola dell'obbligo di stampo cattomarxista li ha voluti e li ha plasmati negli ultimi 50 anni. “Sarà un lungo autunno”, urlacchiavano, non a caso, i pronipotini di Mario Capanna. Gente nata stravecchia, anni verdi non di entusiasmo, di vitalità e di coraggio: ma di muffa. Sentite cosa riescono a concionare senza prendere fiato: “Tre studenti sono morti in un anno durante i percorsi di PCTO e mentre continuano a mandarci a lavorare gratis e senza nessuna tutela nelle aziende, il ministro Valditara ci parla di merito non può esistere meritocrazia in un sistema scolastico classista, che accentua le disuguaglianze tra gli studenti nell’accesso allo studio le nostre scuole cadono a pezzi, l’istruzione costa sempre di più ma si aumentano le spese militari. Questi non sono gli interessi degli studenti! Dalle piazze di oggi in tutta Italia lanciamo un messaggio chiaro al nuovo governo: soldi alla scuola, non alla guerra», Così parlò, ripresa da Repubblica in estasi, l'immacolata concezione dei centri sociali, certa Caterina del Fronte della Gioventù Comunista. Che è già un bell'ossimoro, come unire insieme le frange estremiste anni '70 dei fasci e dei compagni, ma loro che ne sanno? E che glielo spieghi a fare se poi ti guardano con occhi da ippopotamo, come quell'altra mastotondica analfabeta che ieri vibrava, pericolosamente, all'idea di poter parlare davanti al microfono di un tigì?

Il messaggio, tradotto dallo studentese brigatistico, della fasciocompagna Caterina peraltro è chiaro sul serio, ed è il seguente: non abbiamo nessuna voglia di studiare, figuriamoci di lavorare: questa è roba da capitalismo, noi pretendiamo la giostra perenne, se no ci rotoliamo in terra. Caterine di tutto il mondo, unitevi che poi c'è il reddito di cacciannanza, che dalle mie parti è la focaccia marchigiana, insomma fascia o compagna, pur che se magna. Che schifo, però, paragonarsi a coetanei che muoiono ammazzati sotto le raffiche e le bastonate dei gendarmi di una dittatura. Loro, che sclerano se gli togli il diritto a farsi chiamare da uomo anche se donna e viceversa. Loro, che non rinuncerebbero per nulla al mondo ai giocattoli tecnologici. Che rivendicano tutto senza mai offrire niente in cambio. Che latrano al fascismo ma scambiano Farinacci per un rapper, la CO2 per un nuovo tipo di amfetamina e l'Iran non sanno neppure trovarlo sul mappamondo. Questi “bambini viziati delle democrazia”, con Ortega y Gasset, ma di più dalla follia, arrivano a certi abissi di decenza perché sanno di poterlo fare: uno striscione come quello, “l'Italia come l'Iran” meritava raffiche di pedate nel culo, e invece si è guadagnato le cronache ammirate dei giornali dove scrivono i loro padri, che ai tempi erano altrettanto fetidi, e hanno originato una progenie repellente.

Ma è inutile bofonchiare a denti stretti, come pure in tanti avranno, avremo fatto, “io ce li porterei in Iran e poi vediamo come va a finire”. Queste son le cose che si dicono, che si pensano, ma che non succederanno mai. Non ce la facciamo più, non è più in nostro potere, questa guerra l'abbiamo perduta. Anche questa. Solo a pensare che “il dibattito” che in queste olre appassiona questa genia di geni strafatti proviene dall'America woke e dice: c'è troppo sperma bianco. Il cronista non sta né scherzando né vaneggiando, non lui almeno: c'è troppo sperma bianco, urge trovarne di black o, meglio ancora, arcobaleno. Su questo pretende di “confrontarsi” la classe dirigente del futuro, come piaceva chiamarla negli anni Ottanta; adesso non più, perché già la prospettiva mette orrore.

Altrove nel sangue, noi qui affoghiamo nel pantano e nelle feci, come quello, uno di loro, la testa tinta di rosso pompeiano, che al rave di Modena oscillava, sbandava, i pantaloni orrendamente ripieni, si era con tutta evidenza cagato addosso. E una generazione così, di liceali capaci giusto di disegnare striscioni con colori da cartoni animati per l'asilo, vuoi che non avversi il merito? Gira una pubblicità, inneggia alla generazione G: come Greta? No. Come Giustizia? Neanche. Come Gioia? Ma quale. G sta per gorgonzola, una generazione di formaggio con la muffa, ovvero il loro cervello. Generazione G, che non trova niente di strano se un fallito come Di Maio viene riciclato da Draghi, “il migliore”, 12mila euro al mese per viaggiare a sbafo per il Golfo Persico, ma si percepisce più sfortunata degli studenti iraniani che muoiono perché più li uccidono e più non si arrendono, perché il merito lo vorrebbero, perché c'è una libertà che non è quella di buttarsi via ma di esistere. Di esistere.

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